
L’Abbecedario del Terapeuta – D come Desiderio
Prima di scegliere un mestiere come quello del terapeuta si deve far la lista della spesa.
Già. Bisogna chiedersi perché si è scelto questo mestiere, cosa si vuole ottenere, le proprie motivazioni, cosa si mette in valigia prima di affrontare un tanto complesso viaggio e una ancor poco riconosciuta professione. Poi, quando, dopo anni di formazione e supervisione, di letture, studi, esami, sacrifici per potersi permettere onerosi seminari, si riesce ad iniziare il proprio lavoro, prima di fare l’inventario di sedie, oggetti, quadri, sedie comode perché lo spazio sia accogliente, sarebbe bene farne uno più delicato e importante, un inventario intimo oltre che di competenze professionali. Abbiamo già parlato in passato delle premesse con cui si accoglie la sfida del mestiere dello psicologo, quello di cui si vuole parlare oggi è il desiderio.
Desiderio di incontro, di ascolto, di essere rilassato e presente, fiduciosi che sarà possibile creare uno spazio psichico che includa l’altro e permetta la costruzione comune di qualcosa di nuovo a partire da quanto è conosciuto.
Lo psicoanalista britannico W. Bion definiva l’analista ideale come ”senza memoria e senza desiderio”. Se come assenza di memoria intendiamo la possibilità che ci sia un luogo dove, chi abbiamo davanti, sia a noi “nuovo” pure e nonostante lo si sia visto anche solo la settimana precedente, chiaramente questo diventa un prerequisito necessario a che la relazione terapeutica possa creare e non riproporre.
Ma come incontrare qualcuno senza desiderio? Non parliamo del desiderio onnipotente di “guarire”, di sistemare qualcosa che si sia deciso essere malato, sbagliato, fuori dalla linea curva della normalità. Intendo, in questo frangente, il desiderio che spinge a rendere vicino quanto è lontano, avvicinare con appetito il proprio essere in ascolto alla storia che la persona di fronte a noi propone e a cui, inevitabilmente, si partecipa. Desiderio deriva dal latino, nel De Bello Gallico, i desideranti, erano coloro che stavano sotto le stelle (sidera) e attendevano il ritorno dei compagni militari non ancora rientrati dalla battaglia. Un’attesa carica di speranza e fatica, tempo in cui si voleva fortemente veder avvicinare il volto degli amici. Il desiderio è una predisposizione che ci conduce ad essere non più lontani dopo aver atteso ai margini di storie dolorose, dove il piacere di vivere spesso di è smarrito, dove la sofferenza provata ha portato l’altro a porsi domande spesso terribili. Il desiderio del terapeuta è quello di esserci,di ritrovare con chi si incontra la miglior strada per tornare a casa, in una casa diversa e migliore da quella che si è lasciata.
Nel desiderio di incontrare la storia, anche terribile, dell’altro il terapeuta riflette il desiderio altrui di riprendere un posto da protagonista nella sua storia e riflettendolo davanti agli occhi di chi guarda lo rende possibile e reale.
E’ un desiderio che crea lo spazio per il cambiamento.
Nella sua distanza dal giudizio, il terapeuta culla il desiderio di conoscere con umiltà ma presenza, con accoglienza ma anche regola, la storia narrata a fatica dal suo lontano altro, sempre più vicino seduta dopo seduta fino a quando sarà possibile nuovamente separarsi, ognuno con una nuova storia, si spera più ricca di significati.
Nuova per il terapeuta, nuova per la persona entrata in stanza con lui. Il desiderio conduce alla scoperta di sé stessi sotto nuove luci. E’ uno spazio dove diventa possibile, partendo da vecchi moniti ascoltati tutta la vita, da parole che hanno limitato e ferito, cominciare a coltivare nuove frasi, nuove parole da raccogliere per poi, a tempo debito, per farne nuove storie.
E’ partendo dalla propria storia ferita, dalla propria pensata debolezza, dal proprio malessere che chi entra in terapia trova, con il tempo, il modo per raccontare, diventare, leggere anche altro tra gli eventi avvenuti per poter inventare diversi racconti futuri.
Il terapeuta affronta il suo mestiere come si affronta un viaggio sempre nuovo, i pochi dati sul biglietto non sono mai la certezza di arrivare in un luogo esatto, quanto si mette in valigia potrebbe non essere quanto di meglio e sarà nella capacità di creare con l’altro che il viaggio troverà la sua migliore destinazione.
Il desiderio richiama la sfera sessuale, senza desiderio non ci avvicina all’altro, non c’è fantasia, non c’è attività sessuale.
I problemi legati alla mancanza di desiderio sono associati con tutta una serie di tematiche intimamente legate alla persona. Senza interesse sessuale ci sono problemi a passare alla fase dell’eccitazione e all’orgasmo, lo spazio del desiderio, anche nella sessualità. è il primo spazio dell’incontro della fantasia che conduce e avvicina gli uni agli altri. Nello spazio di relazione, anche laddove non vi sia l’attrazione propriamente sessuale, il desiderio resta comunque un elemento fondamentale all’incontro.
Il terapeuta nel suo angolo del desiderio, riesce a trovare la motivazione per affrontare incontri sempre nuovi con rinnovata energia e capacità di scovare l’unicità dell’individuo, della coppia, della famiglia che si ha di fronte, senza cadere nella facile e sterile, ripetizione di prassi, gesti e frasi. Un atteggiamento di scoperta permette anche a chi si trovi per la prima volta in terapia o consulenza di non doversi sentire in obbligo di apparire abbastanza interessante da meritare attenzione e cure, cosa spesso che deriva dalle esperienze fuori nel mondo. Anche perché, il voler attirare attenzioni finirebbe con l’impoverire la reale essenza della propria storia.
Il desiderio è la certezza di essere vivi e in ascolto, di poter immaginare e creare quanto si desideri per realizzare il proprio benessere, non necessariamente completamente aderente a quanto definito statisticamente come la norma.
Il mestiere di terapeuta porta a grandi responsabilità, una di queste è quella di ricordarsi quanto ci sia di riconoscibilmente umano nella relazione terapeutica che costruisce con chi chiede il suo aiuto. Lontano dalla vetta dell’Olimpo dove sono soliti soggiornare gli dei, il terapeuta trasforma anche la sua debolezza in possibilità e si prepara a dare spazio e ascolto a chi incontra, imparando da quell’incontro a rinnovare sempre la sua capacità di accogliere e riconoscere la parte che va portata in luce separandola da quanto è da allontanare. Un lavoro che necessità di tempo, serietà, fiducia, capacità di meravigliarsi e desiderio. Senza la capacità di meravigliarsi dell’altro, il gioco risulta spesso un rigido problema di caselle da riempire, risposte giuste, atteggiamenti da fare propri. Ogni incontro in terapia però, porta in se la possibilità dell’imprevisto, perché nell’entrare nella stanza, ognuno porta il suo mondo, la sua cultura e la sua storia, la sua tradizione.
Il professionista ha il pesante compito di non sopravvalutare il suo essere professionista, di non dare per risolutive le sue armi luccicanti, i suoi tomi, il suo modello, le sue verità.
Sapendo di poter sbagliare, rischia ogni volta con rinnovato desiderio avendo come obiettivo il trovare il miglior modo di costruire possibili soluzioni a problemi da sfumature sempre nuove. Il desiderio di avvicinarsi ad ogni storia come ad un nuovo viaggio, permette di non perdere quanto di squisitamente individuale rende unico ogni incontro e di vedere realmente chi si ha di fronte.
Meglio delle mie mi sembra suonino le parole di Martha Nussbaum, filosofa americana (Terapia del Desiderio 1998) quando, rispetto alla sfida che la medicina, come la psicologia, è chiamata ad affrontare, scrive:
La sfida …. consiste proprio nell’innescare una connessione fra i desideri e i bisogni più profondi delle persone e ciò che ha importanza per loro. … Non possiamo indagare intorno al bene umano standocene alla sommità del cielo e, se lo facessimo, non troveremmo la cosa giusta. Le modalità della vita dell’uomo, le speranze, i piaceri e i dolori che ne fanno parte non possono essere lasciati a lato dell’indagine senza che questa diventi incoerente e senza scopo.
Quindi, nella lista della spesa del Terapeuta, non possono mancare la consapevolezza dei propri limiti ed il desiderio messi a far bagaglio con le proprie risorse, la propria etica professionale, la propria preparazione ed umanità.
Pollicino: Il terapeuta
L’Orco : L‘assenza del desiderio
L’arma segreta : Ritrovare ad ogni incontro la motivazione e lo spazio per avvicinarsi all’altro
marisamoles
Facciamo due lavori diversi, tu ed io, eppure molto simili, e non sto parlando della mia attività allo sportello d’ascolto perché non è il MIO lavoro, è qualcosa che faccio con umiltà e consapevolezza della mia imperfezione colmata, forse, dalla mia umanità.
Quando scrivi: «Il terapeuta nel suo angolo del desiderio, riesce a trovare la motivazione per affrontare incontri sempre nuovi con rinnovata energia e capacità di scovare l’unicità dell’individuo, della coppia, della famiglia che si ha di fronte, senza cadere nella facile e sterile, ripetizione di prassi, gesti e frasi.» mi basta sostituire il termine “terapeuta” con “insegnante” e mi ritrovo. Mi ritrovo soprattutto in quel desiderio che forse è quel quid che fa la differenza tra un insegnante/terapeuta e un buon insegnante/terapeuta. E quella capacità di meravigliarsi, sempre, che allontana lo sconforto anche nei momenti di crisi. Quelli in cui ci si chiede “sbaglio?”, sapendo perfettamente che il rischio esiste altrimenti saremmo macchine perfettamente programmate (sempre che esistano!) e non uomini e donne.
Sai cosa penso? Sono fortunati i tuoi pazienti ad avere una terapeuta così sensibile e innamorata del suo lavoro.
Un abbraccio.
Marzia Cikada
Grazie Marisa. Diciamo che sono fortunata anch’io ad aver incontrato pazienti che hanno nutrito l’amore per il mio lavoro con il loro coraggio a fidarsi di me. Un abbraccio anche a te.