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Che lingua parlano gli psicologi? Riflettendo su "La Psicologia raccontata a mia figlia" - Pollicino era un grande
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Che lingua parlano gli psicologi? Riflettendo su "La Psicologia raccontata a mia figlia"

La storia nostra è storia della nostra anima; e storia dell’anima umana è la storia del mondo.
Benedetto Croce

Gli psicologi mi stupiscono sempre. Sarebbe una bella sensazione se spesso questa emozione così intensa non fosse sfumata in negativo. In una mailing list di colleghi a cui sono iscritta, qualche giorno fa, è stato menzionato un film che subito ha attratto la mia attenzione e, man mano che me ne facevo una idea, il mio stupore si è colorato di quella brutta sensazione che è la conferma dei propri pregiudizi. Si tratta del film-documentario ” La psicologia italiana raccontata a mia figlia”, prodotto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi con interviste di Raffaele Felaco, a sua volta psicologo e Presidente dell’Ordine della Campania.

Lo ammetto. Il titolo mi è piaciuto molto. Sono andata subito con la mente ai bei dialoghi del “Razzismo spiegato a mia figlia” dello scrittore Tahar Ben Jelloun o ai metaloghi tra Bateson e sua figlia che, in maniera un poco più complessa, partendo dalla domanda di una bimba arrivavano a spiegare teorie molteplici. Che bello, mi sono detta, raccontare la meraviglia del nostro mestiere ai figli e alle figlie di questa epoca così poco poetica. Quindi, piena di aspettative, ho visto il trailer e mi sono ritrovata triste.

Perché? Perché sembra sempre di più che esista un divario, una distanza siderale tra il mondo e il mondo della psicologia che in questo pure vive e si nutre.  Perché il dialogo, forma di comunicazione che crea la storia che si racconta, si trasforma in monologhi. Di per sè, il film è pieno di nomi fondamentali della psicologia italiana, nomi che ne hanno realmente segnata la storia, come Renzo Canestrari, Marcello Cesa Bianchi, Adriano Ossicini, Luciano Mecacci e altri nomi illustri e purtroppo una unica donna, Giulia Villone Betocchi.  Nel film, secondo anche quanto riportato su “Il Velino” la storia d’Italia si intreccia con quella della Psicologia, passando dal fascismo fino all’approvazione della legge n.56 del febbraio 1989 che istituì il ruolo dello psicologo e aprì i corsi di laurea e la prima facoltà di Psicologia a Roma, a “La Sapienza”, dove io stessa mi sono laureata.

Quello che mi ha resa triste è stato proprio questo, ero di fronte alla storia della psicologia e non alla psicologia. Volti importanti, autori sui cui libri io stessa ho preparato esami e riflettuto la mia professione, sguardi ricchi di emozioni e amore per  la psicologia ma incorniciati in quella durezza tipica della storia, accompagnati da un linguaggio che subito mi ha fatto chiedere ” Ma che lingua parlano gli psicologi? Come comunicano ai loro figli?”. L’immagine della ragazzina curiosa dagli occhi accesi, seduta comoda e pronta ad entusiasmarsi al racconto sulla psicologia è svanita per lasciare spazio ad una donna matura,  seduta composta ad una lezione universitaria. Me lo chiedo ancora, come comunichiamo? Penso spesso che la prima cosa che la Psicologia deve fare è cambiare il suo linguaggio e capire che oggi il target sono tutti, non solo i frequentatori dei salotti bene, perché la psicologia deve essere presente nella quotidianità della vita, come una parte integrante, come una colonna sonora di sottofondo a cui fare attenzione nei momenti in cui capita che si inceppi il suono o stoni uno strumento. La Psicologia è qualcosa di complesso perché essenzialmente semplice. Ma è nella sua semplicità che deve essere vista, perché semplicemente è nella vita di tutti noi, nel buongiorno del mattino, nei capricci di un bambino, nelle lacrime dopo una emozione importante. La parte della cattedre e delle teorie è degli psicologi non di tutti, non delle figlie curiose che si avvicinano ad un mondo sconosciuto e affascinante. 

La Storia è lo studio del passato attraverso fonti, bene. Il documentario sarà certamente utile ai giovani studenti per tracciare la linea del tempo della disciplina che stanno studiando. Ma ai figli si raccontano le favole prima della notte, non le voci dell’Enciclopedia Treccani. Mi sono detta che la mia colpa è l’ingenuità. Che la parola racconto e figli mi avevano ammaliato, al punto da non vedere che il tutto si incentrava sul fascino della dimensione storica della faccenda e quindi non v’era una reale interesse al dialogo, alla comunicazione ma un semplice intento celebrativo dei nostri grandi nomi.

Ma come scriveva Alain, “La Storia è un grande presente, e mai solamente un passato” e io mi chiedo dove sia l’ORA in questo lavoro. E se il Professor Felaco parla di un “viaggio per curare la memoria…per ringiovanire le radici che alimentano lo sviluppo dell’albero della psicologia” come coltiviamo i giovani alberi se li soffochiamo con l’ombra delle secolari querce? Non dovremmo affascinarli con la magia di questa disciplina perché diventino il nostro Futuro Prossimo invece di appesantirli di un pur Sacro Passato?

 

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Marzia Cikada

She - Her Psicologa, psicoterapeuta, sex counseling, terapia EMDR per il trauma. Incontra persone che vogliono stare meglio, a partire dall'adolescenza. Nel suo spazio ogni persona può sentirsi a casa. Ha creato il progetto Vitamina di Coppia, con la collega Sara De Maria. Riceve online e nei suoi studi di Torino e Torre Pellice.

Commenti
  • Marcella

    concordo in pieno!
    ho visto il film e mi son depressa!
    tutti grandi nomi…di grandi “anziani”…
    una sola donna…
    questa è storia!
    la psicologia attuale è straripante di giovani, strapiena di donne, ricca di interazione e li trovavo interviste sconnesse l’una dall’altra, vecchiume emozionato, ma troppo in stile “di nicchia”.
    Film triste.
    No, non è una buona presentazione della psicologia, da questa ne è sconnesso.
    Di chi la colpa?
    Chi l’ha pensato così?
    che tristezza…!!
    (ps. io sono una “giovane psi” di 33 anni)

    19 Ottobre 2013 at 20:48 Rispondi
    • Dott.ssa Marzia Cikada

      Grazie per il tuo contributo Marcella. Certamente c’è da fare un gran lavoro per rendere la Psicologia fruibile e raccontabile a tutte le figlie in attesa di storie che ci sono, se si parte da queste premesse. Buon lavoro, giovane collega! MC

      21 Ottobre 2013 at 17:26 Rispondi
  • senzacamice

    Ho visto il film, e la settimana prossima pubblicherò la mia “recensione”.
    Chiarisco un paio di “dubbi” , grazie all’intervento del Presidente Felaco in persona, presente alla proiezione.
    Innanzitutto la “figlia” di cui si parla nel titolo non è una bambina, ma la società futura. (la cosa aveva generato anche un po’ di ilarità, perché il Presidente Felaco non ha figlie femmine…).
    Gli ho chiesto pure quale fosse il target cui è rivolto il film, se gli psicologi o pure “i non addetti ai lavori”. La risposta è stata che è per tutti. E, per dirla alla mymovies, questo ha abbassato il mio voto rispetto al film. Se fosse un’opera, anche celebrativa, ma rivolta agli psicologi, il lavoro è pure discreto (3/5). Ma l’uomo a bocca asciutta di psicologia temo che ne ricaverebbe una brutta sensazione di psicologia, come qualcosa di vacuo e poco consistente, lontano dalla concretezza della vita quotidiana. Quindi almeno mezzo punto in meno.
    Perché solo una donna, pure gli è stato chiesto. Ha riconosciuto il difetto, ma non ne ha spiegato le ragioni. O almeno io non le ho capite.
    E poi un annuncio: ha proposto un sequel sui giovani!

    Ovviamente tutte queste riflessioni sono al netto di qualsivoglia riflessione sul costo del film. Perché se le cifre sono quelle che ho sentito in giro, il senso dell’operazione cambia, e non poco per quanto mi riguarda…

    9 Novembre 2013 at 20:58 Rispondi
    • Dott.ssa Marzia Cikada

      Grazie per il contributo Ada, quanto dici non fa che confermare quanto mi è “arrivato” vedendo il piccolo assaggio, se già la società presente fa fatica a seguire un certo modo di comunicare, figuriamoci la futura.
      Purtroppo il costo della produzione non è ininfluente sull’umore che accompagna la riflessione in merito. E sulla mancanza non motivata di donne ma vista e accettata come un difetto, bhè…credo che anche il silenzio non può non comunicare come diceva il caro Watzlawick.

      10 Novembre 2013 at 9:43 Rispondi

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