
Disconnect (2012)
Michel Houellebecq
C’è una rete che ci lega tutti. Une rete sottile, invisibile che resta salda anche se non sempre la si nota, anche quando si cerca di non dargli attenzione.
Possiamo fare finta che non ci sia ma la rete c’è. Possiamo dircene fuori, ma ne siamo avvolti. Possiamo dimenarci, fingerci altrove, ma ogni nostro movimento, ogni parola, ogni sguardo non fa altro che cercare la rete, tendere a farne parte senza restarne incastrati, trovare come, nella rete, muoversi senza diventarne schiavi.
La rete di cui si parla è la stessa che viene raccontata dal film “Disconnect” (2012), del regista Henry Alex Rubin.
Film non particolarmente eccelso tecnicamente ma capace di far vedere come la rete avviluppa e ferisce, grazie anche al lavoro del cast, tra cui Jason Bateman, Hope Davis, Frank Grillo, Michael Nyqvist e Paula Patton. Di quale rete parliamo? Seppure sembrerebbe scontato si trattasse di Internet, la protagonista di questo film è una rete ben diversa, quella fatta di storie. La rete delle relazioni. Internet, con le sue trappole e le lusinghe, le sue false certezze e le sue attrazioni pericolose, è caso mai l’antagonista. Il nemico che si infila lesto nelle crepe del muro di cinta di qualunque castello malamente protetto. Un nemico tanto più pericoloso perchè in continuo cambiamento, capace di far credere di volere il tuo “bene” mentre attenta ai tuoi soldi, alla tua famiglia, alla tua stessa identità.
Disconnect non è quello che sembra. Non è un film sul pericolo dei media. ma su come sia pericoloso lasciar andare le maglie della rete che facciamo stando insieme.
Dal tempo che decidiamo di dare ad una telefonata di lavoro invece che usarlo per fare una domanda in più ai propri figli, dalla facilità con cui concediamo i nostri segreti ad uno sconosciuto ma non a chi ci vive accanto fino alla leggerezza con cui si cerca il piacere online, senza avere del tutto chiaro che quei minuti arricchiscono traffici illeciti e mercanti senza troppi scrupoli.
Il film ci parla di storie.
Quella di un padre e un figlio che non si parlano molto dalla morte della moglie/madre, quella di un adolescente che si sente talmente alieno al mondo da non sapere come altro reagire, se non con un tentato (riuscito?) suicidio quando si trova vittima di un episodio di cyberbullismo. Ancora, c’è la storia di una coppia distrutta dal lutto per il loro bambino al punto da essersi persi, uno lontano dall’altra, la storia di una giornalista che non vive altra relazione se non con la sua aspirazione di carriera e quella del giovane che, erroneamente, crede possa portarlo via dalla vita che conduce, vendendo piacere online, tra una webcam, una chat hard, il regalo di un orgasmo per delle scarpe e una illusione di famiglia.
Sono storie che in comune hanno un vuoto di senso, il vuoto che prende il posto delle relazioni, dell’ascolto, dell’essere con qualcuno, quando queste allentano l’attenzione all’altro, quando smettono di dare spazio per chiudersi in se stesse.
In quel vuoto, mancando una buona educazione all’uso della tecnologia, può trovare facilmente spazio il lato oscuro dell’online. Chat hard, gioco d’azzardo, furto di identità sono solo alcuni degli aspetti di storie esasperate, che possono non trovare un lieto fine, anzi, che possono far molto male. Quando il ragazzo che ama la musica, preso in giro da un padre medio di una famiglia per bene, che lo chiama ironicamente”Mozart”, ma che non si è mai chiesto cosa racconta la musica che il ragazzo compone, vede infrangersi il sogno di una relazione con una coetanea ( in realtà frutto di uno scherzo superficiale di altri adolescenti non ascoltati in cerca di visibilità) non regge il colpo. Distrutto dalla vergogna di una sua foto intima in giro per la scuola tenta di uccidersi. Mentre gli adulti vivono da soli il loro male, cercando a loro modo risposte, solo la sorella, di poco maggiore, sembra sentire e capire, cominciando a guardare diversamente il vuoto che la circonda. E’ in questo nuovo sguardo la sola speranza del film, l’unico momento di non solitudine lo si prova quando lei cercherà di comunicare con il fratello, in coma, attraverso la musica, solo linguaggio da lui conosciuto, riempiendo il vuoto di un nuovo significato da dare alla relazione.
Alla fine non sono i computer, i tablet, gli smart-phone a fare paura ma l’incapacità di dare significato, di comunicare, di sentirsi gli uni con gli altri.
Il monito del film sembra essere quello di usare pure la tecnologia ma di non cercare sia questa a dare le risposte ai nostri bisogni di appartenenza, vicinanza, cura. Non una singola chat potrà lenire il dolore di sentirsi soli, nessuno scherzo per quanto possa renderci popolari, fungerà da risarcimento per il male che si prova a sentirsi non voluti.
Se le risposte ci sono, se qualcosa può ancora salvare le nostre vite dal malessere di esserci, queste sono in quella fatica straordinaria che è lo stare insieme, in quel qualcosa che, a citar Calvino, “inferno non è”. A questo bisogna dare spazio, questo bisogna far durare. Solo allora, sembra suggerirci Disconnect, ci sarà permesso tornare a decidere di noi, con buona pace dei social network.
Pollicino: Noi e la Rete L’Orco : Il vuoto che si insinua quando le relazioni cedono L’arma segreta : Il significato da restituire alle nostre relazioni importanti, perchè le riempia di senso.
paolamattioli.com
Ciao vi consiglio anche questo articolo con l’iniziativa della Polizia Postale “una vita da social” http://ilblogdipaoletta.wordpress.com/2014/01/22/cyberbullismo/