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Nebraska (2013) - Pollicino era un grande
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Nebraska (2013)

I padri non sanno nulla dei loro figli. Né i figli dei loro padri.
Patrick Poivre d’Arvor

Quanto conosci tuo padre? Si esce dal cinema con una domanda che fa il suo giro tra pensieri diversi, che rotola, raccogliendo aneddoti, ricordi, frasi, emozioni.

Quanto conosciamo i nostri padri e quanto questi si sono fatti davvero conoscere nel tempo che sono stati al nostro fianco? Certo i “nuovi padri” sono spesso diversi. Eppure molti adulti hanno la sensazione che qualcosa sia stato celato al racconto e capita che molti genitori non si conoscano mai. Poi invece, in alcuni casi, qualcosa succede e permette di aprire uno spiraglio attraverso cui guardare a sé stesso in maniera diversa, uno spiraglio che passa attraverso le storie prima di noi. E’ una profonda tenerezza quella che permea il film “Nebraska” (2013) di Alexander Payne, pellicola in un azzeccato bianco e nero con una storia semplice in una terra complicata.

La storia è quella di Woody Grant ( Bruce Dern), uomo anziano con due figli e una moglie Kate, burbera e sboccata ( June Squibb). Vive nel Montana ed è convinto di essere diventato ricco. In realtà è solo una delle tante pubblicità che mentono per trovar clienti. Gli si comunica una vincita che non esiste per potergli poi vendere qualcosa. Una truffa che moltissimi anziani, meno lucidi di altri, finiscono con il credere possibile. Woody, che non può più guidare, cerca di raggiungere il suo Eldorado e, a piedi, inizia di continuo la sua strada verso la ricchezza, se non fosse che figli e polizia lo riportano sempre a casa. Finché il figlio minore, David (Will Forte), commesso in un negozio di elettrodomestici con una vita infelice ed insoddisfatta decide che il viaggio fino alla verità può forse aiutare il padre a comprendere che non c’è nessuna vincita della lotteria e nessun milione di dollari. Durante la strada accadranno molte cose, parenti/serpenti, rivelazioni ma anche momenti di silenzio e di incontro, nelle strade desolate di una America che non ricorda molto quella sfavillante che siamo maggiormente soliti incontrare.

Di cosa parla Nebraska? Di famiglia, di legami imperfetti, di emozioni sottili ma intense capaci di muovere da uno stato all’altro anche solo per inseguire un sogno.

Woody è stato un uomo dedito all’alcol con una storia ferita alle spalle, sensibile a suo modo e di poche parole. Il viaggio diventa il modo per conoscersi, per stare un poco insieme, come se fosse necessaria una scusa per conoscere il proprio padre, perché le emozioni e i racconti portano con loro ancora troppo imbarazzo e timidezza in molte famiglie di questo mondo. Padre e figlio nel mezzo di luoghi invisibili, sempre uguali negli anni. La delicatezza con cui il figlio si avvicina al padre, accogliendone i difetti e perdonandone le mancanze, fa pensare a come sia importante, in qualunque fase della vita, saper accogliere la possibilità di condividere qualcosa con l’altro, scoprendo se stessi mentre si conosce la propria storia, quella vissuta ancora prima di venire al mondo, la storie dei padri e delle madri, quella che li ha nutriti e fatti crescere i genitori che sono stati.

Insieme a questo la riflessione si sposta anche sulla meschinità di certi legami familiari posticci e su certi arrivismi di bassa lega, il tutto però senza mai risultare pesante, anzi. Esiste una vena umoristica, a volte ruffiana, che si muove leggera per tutto il film. Scambi di dialoghi freschi e divertiti che riescono a farci anche vedere le sfumature dei personaggi così come riescono a rendere palese come sia dolorosamente ridicola una certa mancanza di argomenti comuni in certi gruppi. Famiglie intere che non sanno rivolgersi la parola, complice la povertà di stimoli ed una cultura all’osso.

Alla fine il sogno di spezza ma si scopre che la realtà può ancora regalare qualcosa di buono e che i rapporti possono crescere e portare a nuovi incontri quando meno lo si aspetta.

Parlando inoltre di vecchiaia e di malattie che naturalmente si presentano con l’età, è interessante come si voglia dare un messaggio chiaro anche sulla morte e quello che si lascia in eredità al mondo e ai propri figli. Quando criticano la demenza di Woody che cammina da solo per strada per raggiungere il suo premio, quando cercano di sottolineare come ormai sia un uomo vecchio e andato, sarà David a vedere oltre l’apparente insensatezza del comportamento paterno. “Ha bisogno di un motivo per vivere!” risponde e mentre lo dice comincia a cercare i suoi motivi e a comprendere il desiderio del padre, il desiderio di dare un pieno significato alla vita, lo stesso che ci permette poi di accettare anche la morte.

 

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Marzia Cikada

She - Her Psicologa, psicoterapeuta, sex counseling, terapia EMDR per il trauma. Incontra persone che vogliono stare meglio, a partire dall'adolescenza. Nel suo spazio ogni persona può sentirsi a casa. Ha creato il progetto Vitamina di Coppia, con la collega Sara De Maria. Riceve online e nei suoi studi di Torino e Torre Pellice.

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