
Come ti Intervisto un Pollicino: Anna Laura Comba e lo Psicodramma
Con chi parliamo oggi? Oggi Pollicino incontra Anna Laura Comba, laureata in psicologia Clinica e di Comunità, presso Università degli Studi di Torino, diplomata in Psicologia Analitica, presso il C.G. Jung Institut di Zurigo.
Ma noi oggi parleremo con lei in quanto Psicodrammatista.
Per esplorare il mondo dello psicodramma e le sue sfaccettature, presentando la bellezza e la magia di questo potente strumento.
Benvenuta nelle pagine di Pollicino Anna. Iniziamo dall’inizio, che è sempre il posto migliore, quando è iniziata la tua lunga storia con lo Psicodramma? E ci racconti cos’è?
Per me è sempre un grande piacere raccontare qualcosa che amo molto come lo psicodramma. Ho incontrato questo metodo nel lontano 1993, e da allora, a partire dalla tesi di laurea ad esso dedicata, ha accompagnato come un filo rosso i miei studi come psicoterapeuta e analista junghiana, accanto ai quali ho pertanto svolto anche una formazione come psicodrammatista.
Innanzitutto, ci tengo a fare una precisazione sul termine, spesso poco conosciuto oppure usato in maniera impropria. Il “dramma” della parola “psicodramma” non indica una situazione drammatica, bensì ha il significato etimologico di “azione”, dal greco. Dunque indica un metodo che, accanto all’espressione verbale, utilizza l’azione scenica, la drammatizzazione, per esplorare il mondo psichico e le relazioni interpersonali. Si tratta di un metodo di gruppo, caratterizzato da un continuo alternarsi tra il discorso verbale dei partecipanti e il concretizzarsi di questo in scene, o giochi, come vengono definiti, sotto la guida di un conduttore.
Se dovessimo dare qualche informazione sulla storia di questo metodo, cosa potresti dirci in merito? Come e quando nasce lo psicodramma?
Lo psicodramma è nato negli anni Venti a Vienna, nella Vienna di Freud, dallo psichiatra rumeno Jacob Levy Moreno; questi, accanto all’attività di medico, si occupò di teatro, scoprendo e sperimentando le possibili interazioni tra questi due campi apparentemente molto distanti fra loro. Fondò il Teatro della spontaneità, in cui venivano messi in scena pezzi improvvisati suggeriti dal pubblico o dagli attori, allestendo scenografia e costumi al momento e invitando il pubblico ad interagire sul palcoscenico.
All’interno del Teatro della spontaneità ebbe luogo un episodio forse leggendario, considerato l’inizio dello psicodramma, episodio che permise a Moreno di cogliere le potenzialità terapeutiche dell’esperienza che stava conducendo. Barbara, giovane attrice del Teatro della spontaneità, era solita recitare nei ruoli di fanciulle ingenue e romantiche. Sposatasi con George, conosciuto durante quest’esperienza, divenne presto una persona aggressiva e volgare. George chiese allora aiuto a Moreno, il quale propose a Barbara di recitare ruoli di donne violente e scontrose; la ragazza accettò e interpretò questi ruoli con grande bravura e soddisfazione, convogliando così sul palcoscenico la sua carica aggressiva, e riacquistando serenità nel rapporto matrimoniale con George.
Moreno emigrò poi negli Stati Uniti nel 1925, dove sviluppò ulteriormente la teoria e la tecnica psicodrammatiche. Aprì una clinica psichiatrica vicino a New York, accanto alla quale fu costruito il primo vero e proprio teatro di psicodramma; le sessioni che si svolgevano al suo interno avevano ora una precisa e sistematica finalità psicoterapeutica, con l’elaborazione di tecniche ancor oggi utilizzate.
Da allora, oltre allo psicodramma classico o moreniano, si sono sviluppate negli anni molte altre forme di psicodramma, che cercano di integrare diverse impostazioni teoriche (freudiana, lacaniana, junghiana…) con la tecnica dello psicodramma. In particolare, io mi sono formata come psicodrammatista junghiana. Lo psicodramma junghiano, o individuativo, si è sviluppato a partire dagli anni Settanta e Ottanta in Svizzera, con Helmut ed Ellynor Barz, in Argentina, con Carlos Menegazzo, e in Italia, a Torino, ad opera di psichiatri e analisti junghiani, tra i quali Giulio Gasca e Wilma Scategni che sono stati miei formatori. Lo psicodramma junghiano non si configura come una teoria e pratica terapeutica completamente maturata e consegnata alla tradizione, ma piuttosto come un work in progress: esistono attualmente diverse associazioni che sviluppano la ricerca da un punto di vista teorico e metodologico.
Definiresti le caratteristiche specifiche dello psicodramma junghiano?
Se è vero che Jung e Moreno non si conobbero personalmente nel corso della loro vita, e pertanto non si influenzarono a vicenda, un incontro tra i loro sistemi di pensiero si può riscontrare nelle elaborazioni teoriche dello psicodramma junghiano. Alcuni punti di contatto possono essere considerati i seguenti:
– tanto Moreno quanto Jung affrontano il tema della creatività. Per Moreno, la creatività necessita della spontaneità per divenire attiva; la spontaneità spinge a trasformare la realtà, a rompere gli schemi e le cristallizzazioni, cercando nuove risposte adeguate alle situazioni e alle proprie esigenze. Spontaneità e creatività sono però poco sviluppate nell’uomo: egli le teme, perché in contrasto con la tendenza all’autoconservazione. Pertanto, esse vanno sviluppate, e lo psicodramma fornisce la situazione protetta e adeguata al loro apprendimento. Analogamente, Jung sottolinea l’importanza dell’attività creativa dell’uomo, che considera provenire dall’inconscio, personale e collettivo: essa irrompe nella coscienza sotto forma di fantasie, nuove idee, suggestioni, che liberano l’uomo dai vincoli delle abitudini e dei processi di pensiero della coscienza, verso una condizione di fluidità, mutamento e divenire. Questo processo ha, secondo Jung, un effetto terapeutico, in quanto conferisce solidità interiore e nuova fiducia in se stessi.
– esiste un parallelismo tra l’immaginazione attiva di Jung e la drammatizzazione spontanea di Moreno. Per Jung, focalizzando la propria attenzione su un’immagine evocata a partire da un sogno o da una fantasia, si sviluppa una serie di immagini che lentamente cominciano ad assumere carattere drammatico: queste prendono vita, iniziano a muoversi, si arricchiscono di particolari e si sviluppano in una trama. Jung sottolinea la necessità di dar forma a queste immagini attraverso il disegno, la scultura, la danza, la scrittura, affinché sia possibile elaborare un confronto cosciente con esse. Anche attraverso la drammatizzazione che si realizza nello psicodramma è possibile dar corpo e vita a queste immagini interne, dando spazio alla creatività. Per Jung e Moreno, la possibilità di trasferire su un piano di realtà ciò che si manifesta nel confronto col mondo interno è una necessità prioritaria.
– un altro aspetto che accomuna Jung e Moreno è l’interesse e la ricerca spirituale. Per Jung, il lavoro analitico è un percorso volto alla ricerca di un senso dell’esistenza, che egli identifica nella realizzazione del Sé come immagine della divinità, ossia nel processo di individuazione. La ricerca di Dio, in Moreno, si attualizza nella figura del Demiurgo, il dio che crea, il quale agisce nella realizzazione psicodrammatica.
– Jung riconosce una struttura simile a quella del dramma nei sogni, per lui fondamentali nell’analisi dell’inconscio. Il sogno inizia con l’esposizione: luogo, tempo e protagonisti della vicenda onirica. Segue lo sviluppo del sogno, che genera una certa tensione. Si giunge così alla terza fase, la peripezia o culmine, in cui accade qualcosa di importante e di decisivo, che produce un cambiamento radicale. Infine, la lisi, o soluzione, ovvero il risultato del lavoro onirico, che propone una nuova prospettiva rispetto alla situazione problematica evidenziata dal sogno. Possiamo dire che Jung riconosce nel mondo interno la stessa struttura drammatica che Moreno evidenzia sul palcoscenico. Secondo Jung, infatti, “Tutta la creazione onirica è sostanzialmente soggettiva, e il sogno è un teatro in cui chi sogna è scena, attore, suggeritore, regista, autore, pubblico e critico insieme.” (1916/18).
In sintesi, si può dire che lo psicodramma junghiano parte dal presupposto di un mondo interiore come composto da diverse parti, o ruoli, o complessi (parti autonome della psiche, secondo Jung), che si sono costruiti nel corso della storia dell’individuo. Queste parti possono essere consce o inconsce, e sono in rapporto dinamico tra loro e col mondo esterno, talvolta in armonia e talvolta in conflitto. Lo psicodramma permette di rappresentare concretamente queste diverse parti, di viverle e di esplorarle in un ambiente protetto e sotto la guida di un conduttore esperto di dinamiche inconsce. In tal modo, è possibile cercare e sperimentare nuove modalità relazionali, tanto con le proprie parti interne quanto con l’ambiente esterno.
A livello pratico, quali sono gli elementi che caratterizzano questo metodo?
Lo spazio in cui si svolgono le sedute è circolare. Partecipanti e conduttori si siedono in cerchio, e lo spazio all’interno è quello in cui si svolge la scena. In questo modo, tutti sono equidistanti dal centro, e tutti possono vedere ed essere visti. La forma circolare rimanda a un temenos, un recinto sacro all’interno del quale ha luogo la possibilità di trasformazione.
Nello psicodramma junghiano, i gruppi sono sovente tenuti da due psicodrammatisti, che si alternano nei ruoli di conduttore e di osservatore. Il conduttore ha il compito di guidare il gruppo, attraverso una verbalizzazione iniziale da parte di tutti i partecipanti rispetto alla loro situazione attuale, verso la scelta di un protagonista. Questi verrà aiutato a concretizzare ciò che presenta come problematico in una scena, o gioco.
La scena può riguardare il mondo reale, diurno, quello onirico o anche una fantasia; essa può essere collocata nel presente, nel passato, anche remoto, oppure nel futuro. Il protagonista sceglie tra i membri del gruppo i cosiddetti Io ausiliari, ossia coloro che hanno partecipato alla scena che intende rappresentare. Egli “dà le parti”, ovvero spiega, sotto la guida del conduttore, chi sono, come sono e come hanno agito nello specifico le persone rappresentate. Il conduttore assume così una funzione di regista nella costruzione della scena, e di doppio: con opportune domande al protagonista, permette di verbalizzare emozioni e sentimenti riguardanti la scena giocata.
Una tecnica molto importante è il cambio di ruolo: la scena viene giocata con cambi opportuni nelle diverse parti delle persone coinvolte. Questo permette al protagonista di “mettersi nei panni” di coloro coi quali ha interagito, e di poter vivere e sperimentare così anche il loro punto di vista, che dà uno sguardo più completo sulla scena giocata, permettendo una maggiore integrazione delle diverse parti. Conclusa la scena, c’è il momento dello sharing, la condivisione delle esperienze emotive, dapprima da parte di chi ha partecipato alla scena come Io ausiliario, poi anche dagli altri membri del gruppo che hanno assistito.
La scena giocata evoca ricordi e associazioni; in tal modo, emerge un nuovo protagonista per una scena successiva. La successione delle scene si muove così lungo linee emotive, in parte consce e in parte inconsce. E’ compito dell’osservatore, alla fine della seduta, rintracciare e restituire al gruppo una sorta di filo rosso tra le varie scene giocate, un tema comune, una situazione che fa parte non solo della vita dei protagonisti che si sono susseguiti ma anche della storia del gruppo.
Coerentemente con la prospettiva junghiana, vengono spesso messi in scena dei sogni. In tal caso, la scena onirica è costruita come una scena reale, e le figure che vi compaiono sono considerate come aspetti della personalità di chi sogna, secondo quella che Jung chiama interpretazione del sogno a livello soggettivo. Attraverso il gioco del sogno, soprattutto attraverso il cambio di ruolo, è possibile entrare nelle diverse parti e prendere così consapevolezza di esse. Spesso, alla scena di un sogno, segue una scena che riguarda la vita diurna da esso evocata, alla ricerca di una maggior dialogo tra mondo reale e mondo onirico, tra coscienza e inconscio.
E che effetti terapeutici si hanno con lo psicodramma?
Intanto va sottolineato che lo psicodramma non è utilizzato esclusivamente in ambito psicoterapeutico. Poiché si tratta di un metodo estremamente versatile, esso è utilizzabile anche in ambito formativo, o di supervisione, così come può essere usato con adulti, bambini, adolescenti. E’ comunque un metodo esplorativo ed espressivo molto efficace. L’utilizzo dell’azione scenica e il mettere in gioco anche il corpo permettono spesso di giungere in maniera più diretta al cuore del problema, rispetto alla sola espressione verbale-razionale. Questa comunque è di ausilio nella comprensione delle situazioni rappresentate, e la continua alternanza di scene giocate e discorso verbale consente una maggiore integrazione tra coscienza e inconscio.
Inoltre, il fatto di rivivere a distanza di tempo situazioni problematiche permette di osservarle con distacco, di confrontare sentimenti provati nel “qui ed ora” del gioco con quelli del “là ed allora” della situazione originaria; è possibile allora prendere coscienza ed esprimere emozioni che nella situazione reale erano rimaste inespresse, trovare nuovi punti di vista, e riconoscere come proprie le parti in gioco.
La presenza del gruppo permette una sorta di “socializzazione dell’affettività”: la condivisione di esperienze emotive importanti aiuta a sentirsi meno soli e a sperimentare nuove modalità di affrontare le situazioni di difficoltà. Il gruppo assume cioè un’importante funzione di contenitore e di luogo di possibile trasformazione interiore, attraverso lo sviluppo di spontaneità e creatività.
Attualmente, in Val Pellice, propongo insieme alla collega psicodrammatista nonché carissima amica Montserrat Valls, conosciuta durante la formazione, dei cicli di incontri a tema. Sono cicli di 5/6 incontri, a cadenza quindicinale; non si tratta pertanto di gruppi terapeutici ma espressivi. In genere, li proponiamo due volte l’anno, in primavera e in autunno. I temi affrontati finora sono le emozioni, i personaggi della propria storia e soprattutto le relazioni interpersonali. Sono cicli di incontri aperti a chiunque abbia voglia di provare a conoscersi meglio, a mettersi in gioco e a sperimentare questo metodo. Proponiamo anche dei workshop di una giornata sulle immagini fiabesche e oniriche, in cui è possibile “assaggiare” lo psicodramma senza necessariamente impegnarsi a partecipare ad un intero ciclo di incontri.
Chi fosse interessato a saperne di più, può contattare direttamente la Dr.ssa Anna Laura Comba che le storie siano vostre buone compagne di strada.