Bene o Male si parla di Donne. Psicologia al Femminile
Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d’incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell’abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni.
Sibilla Aleramo “Una donna”
Parlare di donne non è facile.
Come mai? Forse perché bisogna usare le parole giuste? Certamente, ma non è così per ogni cosa? Parlare di donne, però, implica una precisa responsabilità da parte di chi parla. Sopratutto se si è donna. Perché se sei donna, anche la più fortunata delle donne, sai che non è facile essere e voler essere chi tu voglia. Sai che siamo ancora immersi in numerosi appiccicosi stereotipi, che le battute oscene sulle tette e sulle bionde fanno ancora ridere, che quando vuoi dire che quella lì è una donna di carattere, usi ancora dire che “ha gli attributi” (è vero non è proprio questa la frase corretta ma non vorrei esagerare in leggerezze lessicali). Usi quell’immagine perché ancora non esiste una serena parità e l’immaginario dal quale attingi per costruire le tue frasi non è poi così diverso da quello di un secolo fa, se gratti abbastanza a fondo. Se guardi un poco meglio, ti stupirai di scoprire quando becero maschilismo si nasconde dietro a chi si dice contrario e, ancor di più, ti stupirai di vedere quanti stereotipi hanno trovato in te una casa comoda in cui abitare. Serve un proprio ritmo libero, pur evitando di darsi allo sterile inseguimento dell’uguaglianza che livella, facile alle sgradevoli deviazioni e ai sorpassi in curva che rinforzano solo la distanza. Parlare di donne non è facile perché la differenza non è in discussione, in superficie, è nel profondo che deve incastonarsi la consapevolezza e il rispetto della parità.
Come possiamo parlare di Donne oggi? E come invece sarebbe il caso di smettere? A me, pensando a quanto accade in questi giorno, sono venute in mente delle cose che mi piacciono e altre che mi piacciono molto meno.
PAROLE AL FEMMINILE CHE MI PIACCIONO
Si può parlare di Donne in maniera divertente nel senso di diverso. Muovendoci da quanto per secoli è stato costruito, un recinto fatto di immagini angeliche, di amor cortese, di passi leggiadri e sguardi sognanti e parlare di una donna reale. Possiamo iniziare a chiederci perchè ci si senta costrette a fare certe cose invece di scegliere di farle.
Prendiamo come esempio, lo Spot girato dal regista Spike Jonze per Kenzo in occasione del lancio del suo ultimo profumo. La protagonista (l’attrice Margaret Qualley) è una donna a cui l’immagine di classica bellezza, composta e ammiccante sta stretta. La accetta, se proprio non può farne a meno, ma dentro ha una giungla di emozioni che si muove sulle note di “Mutant Brain” (feat. Assassin) by Sam Spiegel & Ape Drums. Una donna che facilmente definiremmo pazza, perchè sa vedere dentro se stessa ed è capace di dare spazio a quello che prova, in piena autonomia. Balla come per liberarsi da una corazza di stereotipi che la vorrebbero ben diversa, sceglie i passi che piacciono a lei, gioca con la figura maschile e, la sua vitalità seduce ben fuori dall’immagine “classica” di tante altre campagne.
Perché mi piace?
Perché l’immagine che ne esce è sfaccettata, vitale, per niente imbalsamata. Bella certo, ma non è una bambolina da ammirare, è una creatura viva, irriverente, “selvaggia” (nei limiti permessi da fatto che comunque stiamo facendo pubblicità ad un profumo). E’ una persona viva, attiva in un mausoleo di reazioni finte. Forse il regista non sarà stato particolarmente originale rispetto a se stesso ( vedi il suo video musicale datato 2000) ma lo è stato lo stilista rispetto all’immagine della donna come sembra debba essere.
Si può parlare di Donne usando una seria ironia, capace di dar voce anche ai più faticosi dei drammi. Ci sono tanti temi femminili, che si sa che ci sono ma sarebbe meglio non parlarne il pubblico. La propria sessualità, per esempio, e la maternità. Ci sono argomenti al femminile di cui è meglio parlare a bassa voce, ancora oggi. Un esempio? Ero a casa di amici, una giovane donna arriva dicendo che le faceva male la pancia per le mestruazioni, qualche sguardo imbarazzato. Un’altra donna le dice che poteva anche non dirlo. E lei risponde facendo spallucce “Non ho mal di testa, ho mal di pancia per le mestruazioni, perchè non si può dire?” Già perchè?
Ci sono due esempi di storie che invece hanno parlato eccome. Con la delicatezza dell’ironia più intelligente sono state capaci di far sorridere e pensare allo stesso tempo. Si tratta di due libri.
“Mamme sull’orlo di una crisi di nervi” è il fumetto di Magali Le Huche e Gwendoline Raisson (2016, ed.Clichy) che i novelli genitori dovrebbero subito comprare. E’ una poetica, divertente, faticosa rassegna della fatica di essere mamma tratta da una esperienza reale francese e che permette a tante donne di tirare un sospiro di sollievo. Finalmente si vede la mamma dal volto umano, non solo trasfigurata dall’amore per il suo cucciolo e per il suo ruolo nel mondo, ma in crisi, spaventata, bisognosa di ascolto e di farci una risata sopra. Un inno ad essere mamme normali, adeguate nella misura in cui questo rende felici, libere dallo stereotipo per cui o sei una mamma perfetta o sei una mamma cattiva.
Se sei una mamma, il consiglio è di dargli una letta, nel mio studio non manca per poterlo far leggere a tante donne che come prima cosa, hanno bisogno di un sorriso!
La storia delle mie tette (Edizioni BD, collanaPycho Pop) scritto e disegnato da Jennifer Hayden in ben otto anni di lavoro. Il seno, insomma le tette sono parte della nostre identità di donne e intorno a loro gira molto del nostro pensare. Sono, come si legge nella postfazione, “l’unico organo che non è presente alla nascita” e il loro arrivo o mancato tale, segna la vita di moltissime donne. La sua storia parte dal capitolo “niente tette” fino ad arrivare alla vita adulta di Jennifer dopo un marito, due figlie e il cancro. Con la malattia le ferite che hanno segnato la sua vita di donna, i suoi bambini, la sua bella e lunga relazione. Il bello di questo libro è la sua normalità. Non succede niente di grandioso in senso stretto, ma c’è tutto il bello di una vita e questa riempie ogni tavola disegnata, ogni frase che si legge. La sua storia familiare, il suo amore, il suo essere madre nella malattia e solo poi il suo tumore. Un cancro infelice, che le porta via i seni, l’autrice si sottopone ad una mastectomia totale, ma non la sua forza. Un tumore che arriva dopo quello della madre, vissuto già in altri lutti terribili, ma che è una parte della vita, non tutto e può essere superato.
Se vogliamo una storia che parli alle donne e di donne con un sorriso pur nella serietà, che permetta di pensare a come certe cose della vita segnano ma non devono distruggere, questo libro è il posto giusto dove cercare.
PAROLE SULLE DONNE CHE NON MI PIACCIONO
E’ stata la peggior campagna del governo degli ultimi tempi. E giustamente. Un tema che sarebbe dovuto essere medico, parlando di salute, ha mostrato per lo più aspetti sociologici e psicologici, semmai politici, e ha movimentato la penisola desiderosa di prendere le distanze da quello che sembrava un invito a fare figli, numerosi e in fretta senza farsi domande. Tutto è stato fatto nel modo sbagliato, fino a far passare completamente in secondo piano il presunto intento positivo, quello di avere cura del proprio benessere in vista delle possibilità di mettere al mondo, se si vuole, un bambino, diventando un genitore consapevole. Dal punto di vista della comunicazione tutto è andato storto, perchè pensato male, realizzato peggio.Le due immagini che presento qui sono solo due delle diverse cartoline che hanno scatenato un putiferio social e non solo contro la campagna chiamata Fertility Day ( <a href=”http://www.fertilityday2016.it/”
target=”_blank”>www.fertilityday.it) dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin. Una campagna che se è vero che “Bene o male, purché se ne parli” come diceva Oscar Wilde, ha fatto centro. Ma solo in quel caso.
Con parole migliori delle mie, ne hanno scritto bene colleghe e colleghi psicologi, gruppo nato spontaneamente nel Gruppo Facebook per soli psicologi “Diventare Psicologo“, ha scritto una LETTERA APERTA ALLA MINISTRA LORENZIN che ha trovato in fretta giusta e forte risonanza, circa 20.000 condivisioni e 80.000 letture. La bella lettera, che è stata rimbalzata anche da alcuni siti online e sottolinea come si tratti di “Una campagna paradossalmente contraria, e non a favore, di donne che potrebbero sentirsi in colpa perché è come se disattendessero un’aspettativa naturale, quando forse quell’aspettativa è più culturale di quanto non si creda. Essere madre o padre rappresenta una scelta/un’opportunità, nella stessa misura in cui si è donna e non madre per scelta o per circostanza o uomo e non padre per gli stessi motivi.”
Ecco, questo è stato il modo peggiore per parlare di donne (e di uomini), appiattendo, banalizzando, nutrendo stereotipi (donna sbrigati a partorire che è il tuo dovere per il bene del Paese) e immagini (i bambini li porta la cicogna) che ogni adulto sta cercando di non utilizzare più quando si tratta di parlare di sesso con i bambini, figuriamoci se la campagna è per gli adulti. Il risultato è stata poca adesione all’iniziativa, invettive e parodie (alcune di queste molto più riuscite della stessa campagna) e il sito prima nascosto, poi riapparso ma “ripulito” di quasi ogni immagine creata ah hoc, tentando di darsi un tono con ricerche sul tema (che nessuno però è riuscito più a vedere sotto la lente medica e come prevenzione) senza neanche una apertura alle critiche abbastanza elegante da iniziare con un raffinato “mi dispiace”, come se non si fosse capito il problema evidenziato.
Ecco, se insegnassi come NON comunicare sulle donne oggi, chiamerei i creativi di questa campagna.
Non possiamo parlare di donne, di certe donne poi, solo perchè sono belle. Non possiamo nascondere l’orrore e la forza di certe storie, dietro un aggettivo come bella/brutta.
In maniera diversamente terribile, c’era stata la storia delle giocatrici olimpiche, che invece di essere raccontate per la loro bravura, lo erano state attraverso la loro apparenza, trovandosi definite “ciocciotelle” dal giornalista Tassi poi fatto dimettere. Si parla sempre di RISPETTO, quello che manca, che non ci permette di raccontare storie importanti se non velandole di banalità da gossip. Mi riferisco alla storia di Asia Ramazan Antar, ventenne combattente per il Kurdistan nella milizia Ypg, morta mentre cercava come moltissime altre giovani donne, di limitare l’avanzata dell’Isis, mentre tentava di proteggere la sua terra e i suoi cari, protetta da qualche arma e dalla sua fede in ideali per cui sai bene, sarai chiamata a morire. Una donna molto giovane ma che per molti, soprattutto lettori e lettrici inconsapevoli di troppo di quanto accade nel mondo, resterà solo una bella donna morta. Bella che sembrava la Angelina Jolie. Ma è morta una ragazza, non una sosia della Jolie. Dall’articolo di Oscar Nicodemo letto sull’Huffingtonpost si legge: “Asia ha dato la vita per una causa di speranza che riguarda un popolo intero, per migliaia di famiglie costrette a vagare per territori ostili e zone di efferati conflitti, per le donne oltraggiate e violentate da fanatici che le vogliono sottoposte e asservite, per i bambini a cui la guerra ha portato via fin troppo: parenti, casa, genitori, infanzia. Lei è morta per questo. Eppure, per tanti media italiani il suo sacrificio si ferma a un immagine plasticamente evocativa, che ne rimanda il ricordo alle fattezze di una attrice bella e famosa, pubblicizzata dal consumismo alla moda del civile ed evoluto mondo occidentale”.
Ci sono molti modi di parlare delle donne, ma troppi di questi dimenticano quando preziose le loro vite siano, più di una passerella, più di un aggettivo, più di troppe banalità. Non siamo ancora capaci di raccontare storie oneste, di vedere dietro secoli di parole già scritte, che continuano a sembrarci l’unico vocabolario possibile. La psicologia in questo cerca di far chiarezza, di dire la sua, quotidianamente, con lettere aperte, articoli, aiutando famiglie e persone a diventare capaci di vedere quello che non sempre sembra siamo ancora pronti a guardare, la nostra completa umanità.
Pollicino: Chi non conosce le parole giuste
L’Orco: Un vocabolario avvizzito che non si arrende a se stesso
L’arma segreta: Le parole nuove, che vedano prima le persone, poi il sesso e poi gli aggettivi.