
Non solo donna …. Essere imprenditrice oggi
Il meglio del vivere sta in un lavoro che piace e in un amore felice.
Umberto Saba
Sono una donna che lavora. Le psicologhe rappresentano l’80% della categoria. Eppure per molte persone, alla parola psicologia il professionista che viene in mente è un uomo. Se la libera professione è la strada maestra per poter lavorare, è ancora troppo difficile per troppe competenti colleghe farsi valere. A fronte di una cultura da migliorare, nel proporsi sul mercato, abbiamo un contesto ancora molto al maschile che crea divario e aggiunge qualche ostacolo alle donne che iniziamo ad essere imprenditrici di loro stesse.
Perchè lavorare in autonomia non dovrebbe essere un di più, un optional alla figura di madre, moglie, reginetta della casa. Non dovrebbe essere una aspirazione che si limiti ad un part-time perchè poi c’è il resto – quando non si tratti di una scelta concertata.
L’humus dove si pianta la propria voglia di essere professionista – quale sia il mestiere – deve cambiare. Dalle chiacchiere da bar, alle leggi dello Stato la donna deve poter essere imprenditrice. Sostenuta e aiutata non solo dalla famiglia di origine o dalla propria coppia quando possibile, per incastrare impegni e orari della famiglia, ma da tutto il territorio con leggi, spazi e protezioni adatte.
Nell’economica italiana, per le donne avviare una impresa, in un mondo lavorativo precario non è affatto facile. Ma è ancora meno facile che per un uomo.
Basta una buona resilienza per fare impresa?
Si dice molto che la capacità di adattarsi funga da arma segreta in questi casi, sentire il vento che tira, saper intercettare bisogni specifici. Ma è davvero solo una questione di resilienza? Davvero è tutto in quella competenza che permette di trasformarsi alla bisogna, di essere sempre nel cambiamento e di guardare alle difficoltà come ad una sfida che è possibile affrontare? Certamente la resistenza e la tenacia sono qualità necessarie come la gestione delle emozioni in modo costruttivo. Ma non basta. Occorre che tutto l’apparato dentro cui si muovono le imprenditrici cambia, anche di poco, per non sommergerle di ostacoli aggiuntivi di cui giudizi affrettati e pregiudizi ben saldi sono solo un assaggio.
Le crisi lavorative possono essere superate e accettare i cambiamenti permette di scoprire nella crisi qualcosa di noi. Per questo è bene non abbattersi mai.
In questo ci viene in aiuto Lady Gaga e il suo discorso durante la premiazione dell’Oscar 2019. Lei che nel mondo della musica ha dato prova di sapere essere una capace imprenditrice – ancora più che una brava cantante- ricorda dal palco che non importa quante volte si viene maltrattati, se esiste una passione, bisogna lottare, rialzarsi e farcela.
Ad oggi è un fatto che ci siano due velocità nella carriere e che le promozioni per le donne sono più lente – e guardano maggiormente stato civile ed età. Essere sicure di sé diventa più complicato perchè richiede più fiducia, più sostegno, più basi sicure.
Il ruolo salvavita delle relazioni
In una mare incerto e spesso agitato le donne hanno una risorsa importante. le relazioni. Certamente questa è una valida magia per tutt* ma nelle difficoltà, nell’affrontare l’impervio mondo del lavoro, per le donne è fondamentale salvaguardare delle relazioni importanti e stabili. Si tratta di fare in modo che quel sostegno possa proteggere nei momenti peggiori, non far smettere di essere tenaci e di trovare soluzioni. Le imprenditrici in grado di costruire una loro sicurezza relazionale hanno una marcia in più.
La fiducia in se stesse viene coltivata nelle relazioni, nell’immagine che viene restituita dagli altri e, se questa è ferita, sarà più difficile credere di potercela fare – se non dopo averci un po’ lavorato su!
Carriera e figli insieme è possibile, ma ci vuole sostegno e predisposizione, nonché aver vissuto e appreso uno stile educativo dalla famiglia che non valuti negativamente l’aspirazione delle mamme di essere anche donne che lavorano.
Dove gli uomini sono più sicuri, le donne sono più libere
L’educazione e secoli di storia si basano sul bisogno di mantenere sereni gli uomini non disturbandoli, non mettendoli in difficoltà, evitando si sentano in competizione con il genere femminile. Il bisogno di proteggere una predominanza, la fragilità del bisogno di percepirsi il maschio alfa, quello forte e senza ripensamenti, mette in difficoltà molti uomini che si trovano a lavorare con le donne. Devono quindi metterle “al loro posto”, sminuirle per sottolineare un potere che, basandosi su queste basi, non è che fittizio.
Mancando una cultura del vincere insieme, molti uomini non reggono l’insicurezza che gli fa provare – seppure senza un vero motivo di essere – la vicinanza di una donna capace. Per questo le donne sono più libere di essere cosa scelgono in famiglie, e in paesi, dove gli uomini hanno una loro serenità, una loro sicurezza che non si basi sul predominio ma su una reale, equilibrata, consapevolezza di sé.
Invece, specie in contesto lavorativo, l’ansia di prestazione del maschio non è poca cosa. Governa le scelta, annebbia la ragionevolezza e distanzia le donne che si trovano ad avervi a che fare. Noi facciamo il tifo per il genere maschile che è pronto ad entrare in contatto con le proprie emozioni . Crediamo nella possibilità di una società paritaria, dove si parta alla stessa altezza, pur senza appiattire le differenza, ma arricchendosi reciprocamente.
Nella società in cui gli uomini sono realmente sicuri di sé, le donne non sono solo tollerate ma valorizzate. Aung San Suu Kyi
Pare chiaro che siamo tutti nel pallone!! Le donne e il passo indietro.
Le ultime vicende nel mondo del calcio ci fanno riflettere. Prendiamo una donna che esce dallo stereotipo di femme fatale, per giunta più grande del marito, e diventa l’agente del calciatore-marito-potente. E’ la storia di Wanda Nara moglie di Mauro Icardi che si è vista attaccata da tutti i punti, personali chiaramente più che sulla competenza, diventata il bersaglio di chi, prima di tutto, le donne nel calcio non le vuole. E a conferma dell’aria che tira, arrivano le parole infelici – poi rimangiate malamente – di Fulvio Collovati che, davanti alle telecamere della TV della domenica parla di donne che se parlano di calcio gli fanno “rivoltare lo stomaco“. E mentre lui cercava di sistemare cerchio e botte, la moglie lo difendeva dicendo quanto le donne dovrebbero “stare un passo indietro”
Perchè puoi anche provarci, divertirti un po’, ma è bene che si resti alle spalle degli uomini. Non per una palese differenza di competenza ma perchè nate femmine.
Se poi la donna cerca di entrare nel campo di calcio, regno del maschio, deve combattere ancora più duramente per non diventare solo una vittima di scherzi da spogliatoio o bar sport. Mettere in discussione il potere maschile suo suo campo di gioco è un peccato che la cultura contemporanea non è ancora disposta a perdonare.
D’altro canto è necessario lavorare sulle donne e sulle donne di domani, per aumentare la capacità di credere nel loro potere, nel valutare il peso reale delle loro skills, perchè siano in grado di autopercepirsi senza passare da troppi specchi deformanti – quelli costruiti da secoli di pregiudizi e limitazioni.
Comportarsi come un uomo o essere se stesse?
Gli stereotipi ci fanno male. Ma non è facile andare oltre. Roberto Vecchioni cantava “voglio una donna DONNA…prendila te/quella che va al “Briefing”perché lei è del ramo,e viene via dal Meeting stronza come un uomo/sola come un uomo”
Come se non ci fosse una altra via. Quella della competenza senza essere incapaci emotivamente. Quindi le donne tenere ed emotive, se entrano in campi maschili, perderebbero la loro sensibilità per asservirsi ad una logica che le renderebbe impoverite. E qui gli stereotipi sono contro entrambi i generi.
Ma l’uomo è da sempre visto come quello indipendente, in grado di prendersi un rischio, capace di pensare in maniera innovativa. Per buona pace di un mondo pieno di scienziate e inventrici donna. Il pregiudizio è che le donne non hanno capacità imprenditoriali. Ma più che la biologia, che sancisce di fatto alcune differenze, è la prospettiva dentro cui si finisce con il pensare a creare divari e distanze.
Non l’appartenenza di genere, ma l’educazione, la cultura, l’economia, la politica. Sono questi gli elementi che definiscono la discriminazione uomo/donna.
Le opportunità non sono le stesse, neppure le possibilità di sognarsi in un certo modo, in molte famiglie, sono le stesse. Le condizioni dentro cui si muove una bambina che nasce, sono diverse da quelle dei suoi compagni maschi. Ancora oggi e in buona parte del mondo. E seppure varia da paese a paese, è una costante ovunque. L’interesse è di tutt*, non solo delle donne, ma la qualità della vita di ogni persona può guadagnarci da una sensibilità al di là del genere. Nei secoli abbiamo perso troppe menti brillanti e troppe occasioni di civiltà.
Ce lo racconta anche il World Economic Forum (WEF) che da più di dieci anni ci presenta il conto, offrendoci la visuale del divario di genere nelle nazioni più importanti del mondo. E cosa vediamo? Che se valutiamo quelli definiti come macro-aspetti , cioè salute, partecipazione alla vita economica/lavorativa, partecipazione alla politica, accesso all’educazione, e compariamo paesi tra loro simili, scopriamo quello che già sappiamo. Il divario di genere esiste e sta bene. Un uomo vive meglio, vede la sua partecipazione al mondo più facile, entra più direttamente nel mondo del lavoro, guadagna meglio.
Ma le cose stanno lentamente cambiando. Facciamo ogni giorno in modo che cambino. Ogni singolo giorno. In ogni parola che diciamo ai bambini e alle bambine, in ogni azione che gli mostriamo, ogni volta che insegniamo ad essere capaci, ci sono i germogli di un futuro migliore per tutt*
Pollicino: Essere donna – ancora- oggi
L’Orco: Il pensiero di dover essere un passo indietro
L’arma segreta: Coltivare il cambiamento, educando persone capaci di essere liber*