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Nella bufera siamo tutti goffi marinai (Covid-19 e la nostra bussola interiore) - Pollicino era un grande
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Nella bufera siamo tutti goffi marinai (Covid-19 e la nostra bussola interiore)

Il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni.
Alessandro Baricco
 
Il vento portò da lontano | l’accenno d’un canto d’aprile, | chissà dove, limpido e profondo, | si aprì un pezzetto di cielo. | In questa smisurata azzurrità, | fra i primi albori della primavera, | le bufere invernali piangevano, | si libravano sogni stellati. | Timide, cupe e profonde | le mie corde piangevano. | Il vento portò da lontano | le tue canzoni squillanti.
Alexandr Alexandrovič Blok

 

Andava tutto come sempre e poi…

 
Stiamo vivendo uno di quei momenti che dividono la vita in un prima e un dopo. Le nostre barchette stavano navigando e il cielo nero sembrava essere lontano, eppure è arrivata la bufera, ci ha travolto senza avvisi e, ora, facciamo tutti fatica.

Teniamo la rotta come possiamo, reggiamo le alte onde nonostante il mal di mare, cerchiamo un porto per riposare e, allo stesso tempo, temiamo possa farci male anche gettare l’ancora. Abbiamo il cuore gonfio e non sappiamo più dire di cosa, a volte facciamo fatica a dormire, mangiamo strano, ci sentiamo carich* e scarich* insieme. Cerchiamo come restare a galla, aspettando che la tempesta finisca. E il mare sorrida di nuovo.
 

Siamo ancora troppo vicini per capire dove siamo. La distanza è necessaria per raccontare cosa vediamo.

 
Un mese fa sembra l’altro secolo. Guardiamo i film meravigliandoci che le persone si stringano la mano, se ballano ci viene voglia di dirgli #restateacasa, fare la spesa ha assunto un sapore nuovo, misto di amarezza e libertà.
 

E’ il mondo ai tempi del Covid-19.

 
Un mondo di balconi che cantavano e ora sono muti, come in attesa di quello che sarà il prossimo bollettino. Siamo in bilico tra il bisogno di normalità e la voglia di farcela, di resistere all’impensato, inventando storie nuove che sappiano descrivere il mondo oggi, tanto diverso dal mondo prima. Stiamo cercando i nostri cantori, che ci permettano di riconoscerci nelle loro storie, che siano anche le nostre.
 

 

Ci sono parole bellissime che, però, bisogna poter ascoltare.

 
Ma ci sono momenti in cui il potere di ascoltare si fa flebile. Quello che ci arriva per quanto ci si impegni è appena un sussurro. Per quanto le parole siano quelle giuste, per quanto siano dolci, per quanto siano pensate per noi, si infrangono contro lo scoglio del nostro dolore, non arriva a noi che un suono confuso.
 
Dobbiamo essere pront* anche per accogliere aiuto, talvolta è necessario sia dapprima un semplice sorriso, il caldo di una tazza di tè, che si trasforma, con il tempo, in una possibilità più profonda di sostegno. Perché ci potrebbe risultare difficile capire di aver un gran bisogno di quella possibilità. 

E’ bello vedere nascere tante iniziative per accogliere la fatica che si sta facendo in questi giorni. Ma sappiamo, che se ora lavoriamo sull’emergenza, il trauma che portiamo dentro busserà alle nostre porte tanto più forte tra qualche tempo.
 

La sofferenza rende sorde le nostre orecchie e ascoltare diventa un’arte rivolta solo al dolore che viene da dentro.

 
Stiamo affrontando un lutto mondiale, che ci coinvolge anche se non abbiamo perduto delle persone care. Stiamo vivendo, giorno dopo giorno, dentro una mondiale elaborazione del lutto. Questi giorni, sembrerebbe, saremo nel suo momento più pieno e doloroso ma la fatica sarà poi. Molte famiglie hanno perso qualcuno, ogni donna e ogni uomo sono spaesati da una quotidianità nuova, in molti casi da inventare, in altri da riorganizzare in pieno.
 

Dobbiamo fare una grande attenzione a quello che accade oggi, perché ha il potere di segnare anche il nostro futuro.

 
Le famiglie dei figli e dei nipoti che verranno. Perché nessun passato, passa, se non lo liberiamo dei suoi pesi. E in questi giorni, sono moltissime le spalle gravide di pesi. Saranno molte le persone con la schiena curva, certe di avere colpe che non ci sono, piene di una vergogna che non ha motivo, eppure potrebbero provarla. E non è colpa loro! Ma bisognerà aiutare queste persone a scoprirlo. Un piano nazionale di prevenzione sarebbe auspicabile in un paese civile.
 
Adesso è il tempo della fatica per sopravvivere ad una situazione nuova, la fatica di non sentirsi sopraffatti dalla quarantena, dall’isolamento, dalla sensazione di solitudine o impotenza che può capitare di provare. Trovano volentieri spazio, alcuni sorrisi coraggiosi, eppure, i primi colori che ci vengono in mente non sono, sempre, quelli di uno sfavillante arcobaleno.
 
Vogliamo credere che spunterà, in cuor nostro lo sappiamo e la pentola ripiena d’oro potremo dividerla insieme, come una comunità, non di meno facciamo fatica a immaginare che possa arrivare quel momento.
 

Usciremo dalla bufera con qualcosa in meno. Ma possiamo costruire nuove consapevolezze a partire da ora.

 
Ogni persona ha perso qualcosa. Chi ha avuta fortuna, ha vissuto  (e sta vivendo) “solo” una piccola perdita economica, altre persone si stanno trovando a non aver lavoro, con tutte le conseguenze in termini di salute mentale. Troppe le storie di chi ha visto morire chi amava, senza neppure la possibilità di vederla andar via. Senza il regalo – piccolo piccolo – di un ultima carezza.
 

Siamo una popolazione privata dalla sua routine, che conta ogni giorno i suoi morti.

 
Se per qualcuno la conta delle 18.00 è il momento di capire se le cose stanno andando meglio, per altri è vedere chi non c’è più. Storie, vite, volti, si fanno numero tra i numeri. Eppure quei volti per molti erano quotidianità, vicinanza, famiglia. Una zia, una amica, un amore, un cugino, un padre. Certo la morte fa il suo lavoro anche normalmente. E’ naturale, Ogni giorno, in tutto il mondo. Ma, solitamente, si presenta e, talvolta, abbiamo modo di sapere che sta arrivando e, seppure non si è mai preparati abbastanza, ci sono occasioni in cui riusciamo a pensarla, a trovarle uno spazio dentro di noi.
 

In molti casi, oggi, questa morte è arrivata silenziosa, invisibile e il dolore che provoca è tanto amplificato quanto rimane nascosto, nell’impossibilità di essere celebrato.

 
Senza un rito molte persone sono morte nella carne ma restano sospese nella mente di chi resta, senza un momento che sia per loro la fine. Questa pandemia manca di riti di commiato che permettano il saluto. Nei mesi che verranno saranno molte le persone che dovranno rispondere al trauma che stanno vivendo. Come professionista sanitaria, e come me la mia categoria, sappiamo che saranno molte le persone che accoglieremo che stanno reagendo allo stress post-traumatico, che si troveranno disorganizzate, sofferenti e che avranno bisogno di aiuto.
 

 

Ma in questa bufera possiamo ancora restare aggrappat* alla nostra bussola.

 
Ne abbiamo tutt* una. Ci orienta nelle scelte, ci indica la strada, ci ricorda dove siamo per capire dove vogliamo andare.
 

Ogni persona ha un centro da cui si orienta nel suo mondo.

 
Ci sono momenti che pensiamo di esserne sprovvist* e la nascondiamo sotto una pila di pensieri intrusivi, di emozioni spiacevoli e idee negative. Ma c’è.
 

Coperta di polvere, protetta in un fazzoletto ricamato, stipata sotto ricordi di un tempo o in bella vista sul comò, ce n’è sempre una dentro ogni persona. Per qualcuno è un pezzo di alta tecnologia, brillante e sempre efficiente, capace di ritrovare velocemente la direzione. Sono le persone più resilienti, sicure, è un bene ci siano.

 
Molto più spesso, si tratta di una piccola bussola da ricalibrare, lucidare e, talvolta, anche imparare ad usare. Di certo, si è nutrita di ogni nostra singola emozione e sa dove è casa e dove è sicurezza. Le lancette sono fatte dell’essenza delle nostre percezioni, sono in contatto con le nostre gambe, le nostre braccia, il nostro respiro. Bisogna trovarla, dentro di noi e poi imparare a seguirla, con fiducia e un leggero tremore dapprima, con passo svelto e sicuro poi.
 

La nostra bussola, ci riporta sempre a casa. Anche quando è un posto lontanissimo da dove siamo.

 
Possiamo imparare ad usarla, certo. Ma non dobbiamo mai pensare di non averne una. Grazie a lei possiamo navigare verso la nostra rinascita. Per quanto qualcuna è ammaccata, per quanto qualcuna va risistemata, abbiamo sempre la possibilità di imparare come governare il nostro piccolo veliero, quando ne siamo armati.
 

 
E anche se una bufera è sempre una bufera, ricordarci della nostra bussola, ci riporta ad essere marinai e marinaie con la speranza di portare in un porto sicuro la nostra nave.
 

Se la sa cavare sempre, sa cavarsela per due, per me e per lui. È calmo in piena bufera come quando sta a casa e accende il fuoco. Ha una bussola in testa, sa dove andare quando non si vede a un passo e gli altri hanno la sola scelta di mettersi a sedere e aspettare una schiarita. Lui, un piede dietro l’altro, fiuta la direzione e arriva. L’ha imparato nei boschi, non si perde mai. Legge la neve, la capisce.
Erri De Luca

 
Stiamo affrontando un momento che finirà sui libri di scuola. Il coronavirus sta segnando la psicologia di ogni persona che ne viene a contatto, diretto o indiretto. E le belle parole, i canti allegri, i video divertenti, cominciano a scarseggiare o a strappare meno risate a molti di noi. Siamo confusi e, in molti casi, facciamo fatica a rendere produttive le giornate. Manchiamo di concentrazione e la rabbia sta prendendo, in molti casi, il sopravvento.
 

E’ proprio nell’oscurità che, talvolta, si comincia a brillare

 
L’attesa della fine della quarantena, l’incertezza di cosa ci sarà poi, insieme con emozioni spiacevoli incontrate in questi giorni, stanno facendo da detonatori a situazioni di tensione emotiva che potrebbero diventare pericolose. Ma fermiamoci. Proviamo a orientarci.
 

Stringere a noi la nostra bussola è avere speranza.

 
Ci porterà a capire il nostro modo per rimanere insieme, per scoprirci di nuovo possibili alla felicità, per riconnetterci con il nostro mondo. Augurandoci che il nostro mondo capisca anche lui, ora che è fallito, mandato in frantumi da un piccolo nemico invisibile, come trovare una nuova direzione che sia casa.
 

Avere in comune il presente è un legame più forte che avere in comune un modo di pensare.

Joseph Roth

Marzia Cikada

She - Her Psicologa, psicoterapeuta, sex counseling, terapia EMDR per il trauma. Incontra persone che vogliono stare meglio, a partire dall'adolescenza. Nel suo spazio ogni persona può sentirsi a casa. Ha creato il progetto Vitamina di Coppia, con la collega Sara De Maria. Riceve online e nei suoi studi di Torino e Torre Pellice.

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