Le Mini-recensioni di Pollicino
Disclosure (Netflix)
Non possiamo essere una società migliore, finché non la vediamo.
Questo ci racconta il documentario Disclosure del regista Sam Federn (Netflix). Tra moltissimi spezzoni di film, affronta lo specifico della rappresentazione fatta nei Media delle persone trans. Un’immagine che, fin dalla sua nascita, l’industria cinematografica ha distorto. Vengono intervistati volti noti dell’attivismo e del cinema. Come Laverne Cox – anche produttrice del film, Mj Rodriguez, (Pose), Chaz Bon, Lilly Wachowski, che ha rappresentato in Matrix parte della sua storia, Jamie Clayton (Sense8) e la lista continua.
Il potere di Hollywood, ha per anni insegnato alle persone come reagire davanti al mondo trans.
Mettendolo in ridicolo o avendone paura. I ruoli designati erano di personaggi psicopatici o cattivi, come il serial killer Buffalo Bill del Silenzio degli Innocenti, o mostri disgustosi, come in un insospettabile transfobico Ace Ventura. Un cinema pieno di pregiudizi come le trasformazioni dovute all’assunzione di ormoni (in L Word il testosterone rende violento) o lo sguardo di una parte del femminismo che ha visto nelle persone trans una minaccia. Mentre la voglia di vita delle persone trans resta invisibile. Insieme a dati curati da GLAAD – Gay & Lesbian Alliance Against Defamation, che ogni anno monitorano la produzione in merito, si offre un’immagine più veritiera e accurata della comunità LGBT+ e delle questioni che riguardano la loro vita.
Uscendo dall’immaginario per cui, da una parte si vedono le persone trans come mostruose e, dall’altra, si introietta l’idea di esserlo.
Ogni persona ha il bisogno di vedersi e di riconoscersi in quello che vede, film, serie, discussioni in TV. Ma solo da poco quello che vediamo assomiglia alla complessità della realtà e non alla sua banalizzazione, come la morbosa curiosità per la transizione chirurgica. Le persone trans sono spesso invisibili, ancor di più se uomini e neri. In fondo, l’immagine femminile è comunque più mercificabile.
Oppure si alimenta l’idea che siano solo sex worker come se non potessero essere altro, sebbene la vita e la discriminazione sul lavoro porta molte persone trans a dover percorrere quella strada non per scelta ma perché la sopravvivenza ha un prezzo.
Ma le persone meritano di vivere pienamente chi sono. E la strada da fare è ancora molta. E cammina in ogni persona. Perché “se scegli di partecipare” dice Tre’vell Anderson (giornalista) ” alla narrazione di una comunità, devi prendere atto dei tuoi privilegi e capire che la vita per loro è diversa.”