Lavorare amareggia. Il Disturbo da Amarezza Cronica
Leggendo il giornale di domenica 30 settembre, (La Repubblica) si apprende, che un precario viene pagato il 28% in meno rispetto a chi occupa il posto fisso. E il fenomeno sta aumentando. I precari, spesso indebitamente rimandando a immagini di contratti brevi, ma spesso occupanti lo stesso posto di lavoro per decine di anni, si trovano così a lavorare come dipendenti ma ad avere un salario di molto inferiore, perdendo in motivazione e non solo, rispetto al suo lavoro, enon solo. Ecco quindi, è il caso di dirlo, che uno spettro si aggira per l’Europa (e non solo per l’Europa). E’ lo spettro dell’amarezza, di un nuovo disturbo che negli ultimi tempi ha attirato sempre più l’attenzione di professionisti e specialisti, semplicemente facendosi più visibile. Crescendo nelle file delle persone che, semplicemente, tutti i giorni vanno sul posto di lavoro. E’ il disturbo da amarezza cronica post-traumatica (la cui dicitura inglese da DSM è Post-Traumatic Embitterment Disorder, PTED).
Il contesto in questo caso è quello lavorativo, in special modo quello lavorativo attuale, dove la precarietà sembra una clausula necessaria per la possibilità di un lavoro e l’incertezza è la parola che più risuona nella testa e nei progetti dei lavoratori. Il Disturbo da Amarezza è stato individualizzato intorno al 1999, quando si è studiato il malessere degli immigrati tedeschi dopo la caduta del muro di Berlino ( si trattava di tedeschi che arrivavano dalla Germania dell’Est). E’ stato il professor Michael Linden a studiare per primo questo disturbo, comprese le modalità diagnostiche e caratteristiche, insieme con l’equipe della Libera Università di Berlino, la Charitè. Si tratta di una forma di disturbo dell’Adattamento, una reazione psicologica ad un evento vissuto come negativo. Per evento negativo, in questo caso, si intende una situazione dolorosa comune come una perdita o un conflitto in contesto lavorativo. L’evento negativo traumatizza in quanto va a violare i valori morali della persona, provocando un sentimento di amarezza, prevaricazione, ingiustizia che inizia a crescere nell’individuo. Gli studi sul Disturbo, hanno portato Linden a definire dei criteri perchè sia possibile diagnosticare questo disturbo.
Io vorrei raccontarlo nella sua più terribile caratteristica, la normalità. Perchè ognuno ha il bisogno di lavorare e il lavoro non solo è necessario economicamente, ma definisce la persona, permettendole di essere soddisfatta, di crescere nell’ottica delle sue motivazioni, dei suoi valori. Quindi pensiamo alla quotidinanità del lavoro di un precario qualunque. Recandosi al lavoro sarà sottoposto ad una serie di eventi normali ma per lui traumatici. Eventi normali, la cui più grande pericolosità risiede proprio nella non eccezionalità dell’episodio, qualcosa che sembra normale capiti, un conflitto sul lavoro, una discriminazione ( o qualcosa vissuto come tale), la possibilità di perdere il lavoro ( o la sua reale perdita), accettazione di situazioni che vanno contro i valori del soggetto e che quindi sono vissuti come ingiuste, eventi che violano il sistema di credenze della persona, lo mettono in condizione di sentirsi prevaricato, ferito ingiustamente. Tali eventi sono molto chiari al nostro precario, sa che è questo tipo di evento a causare il suo problema. Il nostro precario lo ritiene ingiusto, umiliante e comincia a provare sentimenti come la la rabbia, poi un senso perenne di amarezza, infine una sensazione impotenza docuta al sentire di non poter cambiare le cose. Lentamente, giorno dopo giorno, il ricordo di questo evento vissuto sul lavoro, diventa parte del quotidiano del precario anche fuori dall’orario di lavoro, si intrufola nei suoi pensieri anche in ambiti più personali. Questo lo rende ancora più irritabile, lentamente gli toglie libertà di azione, non riesce più a gestire la sua vita come prima. La rassegnazione accompagna il peggioramento delle relazioni e degli affetti. Per cui sorge anche il senso di colpa. Diventa difficile dormire, insorgono i disturbi del sonno, adattarsi alla realtà diventa una lotta che si ritiene di non poter vincere, l’amarezza è la compagna di tutti i giorni, insorgono possibili problemi psicosomatici, la normale vita viene compromessa. Il peggio è che, mentre altre forme di disturbi dell’adattamento tornano da soli alla normalità, il Disturbo cronico da amarezza non guarisce spontaneamente. Diversamente dallo stress post-traumatico dovuto ad eventi traumatici riconosciuti come tali ( guerre, violenze fisiche et similia) il disturbo da amarezza cronica è legato ad eventi non ritenuti traumatici ma nella loro frequenza e forza capaci di innescare questo circuito di emozioni come l’amarezza, i sentimenti di ingiustizia, che generano una rabbia e una impotenza tale allo stesso tempo che paralizzano il soggetto. A questo punto il disagio è lampante, il malessere si è definito in una serie di problemi che invadono la vita della persona dentro e fuori dal lavoro e sebbene Linden sta lavorando sulle strategie di trattamento alla sindrome, bisogna fare molta attenzione all’insorgere di questi sintomi in un mondo del lavoro sempre più titubante e scarso di protezioni per il lavoratore.
In Italia, di questa tematica, se ne sta occupando Giovanni Fava esperto di Psicosomatica, professore di Psicologia Clinica dell’Università di Bologna. Ritenendo, quella psicologica, una componente fondamentale delle malattie, pur variando da soggetto a soggetto, Fava accende l’attenzione sul problema dello stress lavorativo, specie in associazione ad episodi di mobbing, che rappresenta un peso quotidiano per il soggetto. Come l’esperto riportava in una intervista del 2011, tra le fonti di stress c’è la tensione lavorativa, la mancanza di prospettive lavorative, il prendere di conseguenza a rimuginare sulle ingiustizie continue a cui si ritiene di essere sottoposti fino alla somatizzazione. Alto, infatti, il livello di somatizzazione in questi casi, coliti, gastriti, cefalee. Il corpo reagisce come riesce al disagio a cui è sottoposto, trovando posto nella pancia e nella testa delle persone. Afferma Fava “Problemi psicologici possono produrre anche cefalee da tensione. Ma queste sono solo una parte, anche se la più frequente, delle cefalee”.
La vita del lavoratore, peggio se precario, è quindi ardua, restare sereni sembra sempre più una missione impossibile in un contesto con continue tensioni e insoddisfazioni, compromessi e mancanza di prospettive. Ma non è una e sola la direzione da prendere. Per evitare di essere soggetti al diturbo da amarezza cronica e seguenti problemi e aggravanti, si dovrà fare molta attenzione ad attivare meccanismi di autoprotezione ridurre esposizione allo stress. Trovare il proprio modo di arginare il vissuto di ingiustizia, evitare di dare troppo peso a quello che succede sul lavoro. Arduo compito sembrerebbe, in un mondo lavorativo in cui la priorità sembrerebeb essere mantenere il posto di lavoro. Eppure, è possibile dare un nuovo valore al lavoro, trovare spazi in cui realizzarsi esterni a questo, scoprire come proteggere gli affetti e la vita quotidiana dagli attacchi dell’amarezza. Fare spazio al dolce che resta nonostante le stressanti condizioni del lavoro. Coltivarlo affinchè resista agli attacchi dell’amarezza che incombe.
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