
Attenzione… Competizione, Gare e Rivalità!
Ho paura di vincere e ho paura di perdere; detesto pareggiare e non posso smettere di competere, altrimenti sto bene.
Mignon McLaughlin
Due amiche chiacchierano in salotto. Una delle due chiede: “Quanto l’avete pagata la poltrona IdeaSalotti?”. La risposta arriva con una certa ritrosia: “Credo intorno ai mille euro”. Poco dopo, sorseggiando il suo caffè, con aria di malcelata soddisfazione, la prima aggiunge “Ne stiamo comprando una nuova nuova sai, ma da PoltroneBelle, sai vogliamo delle cose solide noi, non ci importa spendere di più!”
Due colleghi cercano ogni giorno di chiudere più pratiche uno dell’altro ci tengono a far bella figura con il capo. Dicono. Raramente escono dall’ufficio in orario. Fanno di tutto per alzarsi dalla scrivania almeno 5 minuti dopo il “rivale”, con il risultato di lavorare almeno trenta minuti in più ogni giorno. Del loro sfidante sanno giusto il nome e l’età ma saprebbero dire, esattamente, da quanto tempo hanno acquistato l’ultimo cellulare e le scarpe e l’ora quasi esatta dell’ultimo contratto stipulato. Il resto dei colleghi ride di loro durante le pause pranzo, a cui, di certo, loro non partecipano.
Due amici conoscono una ragazza. A Luca piace subito e lo confessa al suo migliore amico Paolo che, pur sapendolo, non riesce a far a meno di fare il carino, di attirare l’attenzione della ragazza in ogni modo, approfittando del suo carattere naturalmente spigliato. Mentre la ragazza sorride, vede Luca farsi piccolo e silenzioso.
Due signore al parco che sorridendo si chiedono l’età dei pargoli che accompagnano. Poi il peso. Poi le parole che hanno già pronunciato. Poi cosa mangiano. Quando. Le ore che dormono e a quale nido vanno. Ad ogni risposta aggiornano il tabellone del punteggio del bimbo 1 contro il bimbo 2 cercando di dimostrare la straordinarietà del loro rampollo.
Possiamo non competere? Sembrerebbe di NO. La competizione è parte integrante anche delle più apparentemente inoffensive conversazioni di tutti i giorni. Sembriamo pronti a trovarla sulla scrivania, a lavoro, ma anche nelle normali chiacchierate con gli amici, in coppia, con i genitori. La competizione è un elemento spesso presente, anche in maniera velata, anche in maniera inconsapevole. Fin qui tutto bene, una giusta dose di competizione ci spinge in avanti, ci rende ambiziosi il giusto per migliorare chi siamo, ci aiuta a raggiungere risultati che sembrerebbero inarrivabili. Ma cosa dire dell’abitudine di dover dimostrare di essere meglio di…, di farlo meglio, di avere cose migliori, di essere persone/lavoratori/amanti migliori? Migliori di chi poi ?
La prima gara, quella più dura, la giochiamo ogni giorno con noi stessi. Se conquistiamo noi stessi la tensione del punteggio sul tabellone scende e , a parte se non stiamo per correre i cento metri per le Olimpiadi, possiamo anche togliere la pettorina e uscire dall’agone. Ma non è sempre facile. Anzi.
Sempre di più! Se riusciremo ad essere PIU’ allora verremo visti, amati, considerati meglio di…
Crediamo di dover provare agli altri il nostro valore. Di avere il riconoscimento del nostro merito meglio se a scapito degli altri. Perchè se noi dobbiamo essere il meglio qualcuno deve giocare il ruolo del peggiore. Pensiamo, ci fanno pensare, che la dose di amore che ci è dovuta sia proporzionale alle nostre vittorie, alla nostra pagella, al nostro stipendio, alla cilindrata della nostra automobile. L‘insicurezza, quella che in fondo anche il più spavaldo dei manager prova nei confronti di qualcosa o qualcuno, porta a sentire la necessità di dimostrare il proprio valore.
In fondo sin da subito i genitori, non tutti ma molti, mettono in relazione la loro soddisfazione con i successi degli altri bambini (“Alla tua età tua cugina andava già in bicicletta”, ” Tuo fratello ha sempre avuto voti migliori, vali solo un 6?”, “Facciamoglielo vedere chi è il bomber qui!”, “Io ero molto più bravo di te…”). Probabilmente le intenzioni sono di spinta motivazionale, di sostegno, per fare del bene al loro bambino, ma il bambino finisce con il pensare che per essere amabili si dovrà essere meglio della cugina, in lotta con la sorella, più belli della compagna di banco e meglio preparati della vicina di casa. Ed ecco la competizione, che rende difficile non solo apprezzare se stessi ma anche chi ci è presentato come il rivale, l’antagonista. Senza parlare del livello di stress che mettiamo da parte se non riusciamo a smettere di gareggiare sempre e con tutti. Lo sanno bene gli sportivi, specie i più piccoli, che devono imparare a venire a patti con la tensione della competizione per evitare di finire schiacciati dall’ossessione di vincere, dalla paura di non riuscire a farlo.
Se si è sempre in gara non si è mai soddisfatti. Una eccessiva competizione porta a non godersi mai i risultati ottenuti, sono sempre troppo poco, un primo gradino per arrivare in cima a dove tutti possano vederci. Persi nel desiderio di compiacere tutti perdiamo di vista di sorridere a noi stessi. La strada verso una vita di ansia e paura è dietro l’angolo. Perchè qualcuno contro cui gareggiare lo troveremo sempre se non usciamo dal campo di gara.
Sul lavoro si raggiungono risultati migliori lavorando in team che non essendo sempre in competizione e un buon leader e colui che crea cooperazione stando nel gruppo e non chi giudica e prona alla lotta dell’un contro l’altro. Certo ci sono ambienti che vedono una necessità nella competizione e nell’ambizione ma non tutti i posti di lavoro sono così.
Rilassarsi e godersi i risultati di ogni singolo giorno, senza mettersi subito in tensione per quello che sarà domani sarebbe raccomandabile. Che vuole dire che, impareremo sempre a fare di meglio, ma per noi stessi e ci ameremo ugualmente, anche se non arriveremo al risultato prefissato (siamo poi certi che sia quello a darci valore?).
Darsi un limite è segnale di maturità, insomma è da vincitori. Così come stabilire le proprie genuine ambizioni e non fare nostre quelle degli altri. Il piacere che si trae dal raggiungere le vette che ci indicano gli altri, non è mai lo stesso di quello che guadagniamo arrivando dove noi vogliamo mettere la nostra bandierina. Quindi competizione sì, ma con parsimonia, solo QB (Quanto Basta) per spingerci verso dove vogliamo arrivare, verso chi vogliamo essere.
Gli altri possono insegnarci molto. Il confronto, la stima che possiamo nutrire per chi è più bravo di noi sotto alcuni aspetti, il desiderio di coltivare delle qualità chiare in altri, può essere una spinta positiva se non si trasforma da curiosità, confronto, impegno in rivalità, invidia, bisogno di primeggiare. Una persona che in continuazione cerca di sembrare la migliore (cercando di far notare le sue vittorie, il suo lavorare meglio degli altri, i suoi vestiti migliori, le sue capacità, le sue storie più divertenti, i suoi drammi più sconvolgenti, il suo mal di denti più male degli altri…) alla lunga non viene apprezzata da chi ha intorno che si stanca presto del gioco “IO SONO PIU'” e facilmente troverà altre persone più gradevoli. Chiaramente altro discorso quando due persone si trovano affannosamente a giocare lo stesso gioco, sfociando in una rivalità ossessiva e patologica (es. le lotte per chi è più ricco tra John Davison Rockerduck e Paperon dè Paperoni che occupano molte pagine di tanti Topolino).
Perché alla fine qualcuno più bravo di noi ci sarà sempre. Più bello, più simpatico, più preparato, più armonioso, più…non è il caso di farne il nostro inferno. Usciamo dalla competizione con un passo solo da fare invece verso di noi. Impariamo a modulare e governare le nostre sfide in modo che siano motivazioni a crescere e andare avanti e non catene pesanti da portare.
N.d. P. quanto detto finora non vale per questo Blog che è di certo il più bello di tutti i Blog di Psicologia, giusto? *
Pollicino: Siamo tutti in competizione, ma quanto?
L’Orco: L’impossibilità di lasciar essere e voler primeggiare sempre
L’arma segreta: Definire i propri limiti restando in equilibrio tra ambizione e relax
*N.d.P. : Nota della Psicologa
A.E.Ribellato
“La via del saggio è agire, ma non competere.”
Lao Tse