
Tredici – 1^Stagione (2017)
“Sai solo quello che succede nella tua vita, non in quella degli altri. E quando danneggi una parte della vita di qualcuno, non danneggi solo quella parte. Purtroppo non puoi essere preciso e selettivo. Quando danneggi una parte della vita di qualcuno, stai danneggiando tutta la sua vita. Tutto…influenza tutto.” Hannah Baker
-Attenzione: c’è un po’ di Spoiler in questo post-
Siete adolescenti? Lo siete stati? Allora saprete che per la vita dei ragazzi non si può utilizzare lo stesso metro di giudizio degli adulti. Quello che si vive negli anni dell’adolescenza ha una intensità squisitamente legata a quel periodo della vita. La luce acceca, il buio non è mai stato così nero. Il cervello stesso dei ragazzi è diverso da quello di un adulto, la possibilità di scindere, ragionare, comprendere è in trasformazione e si sta costruendo il proprio personale vocabolario emotivo. Le emozioni sono stravolgenti più che travolgenti e una parola sbagliata ferisce in una maniera profonda che, semplicemente, è difficile da spiegare. Gli adolescenti capita che si feriscano per sentire di esistere, sanno essere violenti, non avere idea delle conseguenze delle loro azioni, più spesso di quello che piacerebbe a noi adulti, vivono abusi, bullismo, desiderano morire.
La serie “Tredici” (in inglese “13 Reasons Why”) è l’adattamento di un libro uscito qualche anno fa. Si tratta di una serie molto criticata, per i contenuti forti che propone, prodotta dalla popstar Selena Gomez, per diverso tempo stella delle produzioni Disney, che non ha mai nascosta la sua storia di depressione e bullismo subito.
LA TRAMA – Hannah (l’attrice Katherine Jade Langford) è una ragazza inizialmente piena di vita, ma probabilmente con delle fragilità già presenti e turbata da trasferimento recente e alcune difficoltà familiari. Nella sua nuova vita, entrando in contatto con i coetanei che le fanno vivere esperienze sempre più spiacevoli, lentamente si spegne, peggiora a scuola, scrive poesie sul suo star male e parla sempre meno a casa. Quando tutto diventa insostenibile, decide di uccidersi ma, prima di farlo registra delle cassette per le persone che l’hanno spinta a quella scelta. Nelle sue ragioni c’è bullismo, violenza sessuale, paura di amare, timore di deludere i genitori, vergogna, desiderio di essere ascoltata, isolamento, solitudine. Le cassette devono passare da una delle “ragioni” all’altra. Molti aspetti che fanno parte della vita degli adolescenti vengono messi neri su bianco in maniera cruda, pulita, credibile anche se non si vorrebbe farlo. Lo spettatore ascolta le cassette quando arrivano in mano a Clay (Dylan Minnette), ragazzo introverso, studioso, innamorato di Hannah, che cerca, a differenza degli altri, troppo spaventati per le possibili conseguenze su di loro, di dare un senso a quello che ascolta.
Le sue reazioni sono fortissime, eppure non riesce a parlarne con i genitori, nessuno dei ragazzi coinvolti lo fa. Le reazioni degli altri ragazzi saranno diverse, seguendo quello che hanno imparato nella loro storia familiare e secondo la loro diversa sensibilità. Subito si difenderanno cercando forza in gruppo per poi decidere come comportarsi. Alcuni decideranno di prendersi le loro responsabilità rispetto a quanto compiuto, di fidarsi di qualcuno, di affrontare la vita e il trauma subito. Altri si nasconderanno o sentiranno il peso del senso di colpa per il proprio comportamento.
Molti di questi ragazzi hanno genitori assenti, incapaci, altri genitori sono presenti ma non riescono a vedere cosa accade (ma il lavoro fatto con i loro figli sarà premiato quando questi cercheranno in loro, in fondo, la comprensione che non credevano di volere). Le storie di alcuni di loro, ci portano a capire i comportamenti che mettono in atto, vedendone di contro, ancora di più, la tragicità. Come per Justin, la cui madre completamente incapace, tossica e con un compagno violento, lo spinge a difendere con tutto se stesso la fedeltà al branco, unica cosa che ha, anche quando il suo amico Bryce fa del male, violentandola, la sua stessa ragazza.
In generale gli adulti non sanno tradurre quello che vedono e sentono in ascolto e vicinanza, anche quando sembrano provarci, sono lontani, come in una diversa dimensione. I ragazzi cercano di fare quello che possono. E a volte non possono come vorrebbero.
Clay come Hannah, sono tutti i ragazzi. O comunque una buonissima parte. Le reazioni che hanno, il non riuscire a parlare, ad affrontare le cose, sono facilmente riconoscibili nelle storie di molti altri. Anche Clay, che sembrerebbe il più capace di azioni e pensieri maturi, non riesce a gestire le sue emozioni, non riesce a dirle, a condividerle.
Ho chiesto a diversi adulti di cosa pensavano di “Tredici”. Mi è stato detto che molte delle ragioni erano incomprensibilmente cariche, eccessive, che non ci si uccide per il proprio nome su una lista o per il tradimento di un amico, che davanti ad una violenza si dovrebbe parlare, che Hannah era esagerata, che le reazioni dei suoi amici sono troppo.
Ma esiste un momento in cui tutto sia più esagerato che nell’adolescenza?
Forse gli adulti non dovrebbero parlare ma dovrebbero imparare ad ascoltare, ma senza credere di poter davvero capire. Perchè non tutto è possibile capirlo. Soprattutto se parliamo di adolescenza e di quanto dolore questa costi. Anni fa, i Tre Allegri ragazzi morti (gruppo musicale) cantavano:
Ogni adolescenza coincide con la guerra
Che sia falsa, che sia vera
Ogni adolescenza coincide con la guerra
Che sia vinta, che sia persa
Ho sempre pensato che sia una delle migliori canzoni sul tema. Perché se pure le abbiamo nascoste sotto il maglione a V o dentro una valigetta in similpelle, se le abbiamo adornate di orecchini di perle e di frasi di buon senso, tutti abbiamo un segno, anche piccolo, che ci ricorda gli anni che si cercava di capire cosa diamine fosse questo “vivere” che tanto si discute, gli anni che l’amore è assoluto, che la vergogna di una scarpa sbagliata ferisce fino in profondità, la musica è una ragione di vita e gli amici che voltano le spalle sono crimini che fanno un male porco. In “Tredici” questo si sente, si vede negli sguardi di ognuno dei protagonisti. E’ quella distanza emotiva che fatica a farci arrivare a toccare un adolescente in modo tale che possa parlare con noi. Il non comprendere quanto sul serio prendano tutto anche se sembra diversamente.
Ci sono molti temi delicati in questa storia.
Il bullismo, che si nasconde in una foto, in una frase e attacca la reputazione delle persone, soprattutto le ragazze, in maniera violenta e attirando poco l’attenzione di molti. Quello che gli altri dicono di loro è importantissimo in un momento in cui si sta costruendo la proprie immagine, identità, autostima da quasi adulto. La reputazione è fondamentale. Se non sono presenti dei fattori di protezione (una buona autostima di base, adulti con cui si riesce a parlare, gruppo di pari amici vicini, una passione che impegna profondamente…) tali che possano sostenere l’adolescente, quello che si dice di loro può essere un colpo dolorosissimo. Che sia la scritta su un bagno, una foto, una diceria, una lista che gira per la scuola. Si parla poi di violenza sessuale e le reazioni delle vittime, dalla dissociazione che porta la protagonista lontana da quello che le sta accadendo, ai disturbi post traumatici che si manifestano poi, al tentativo di curarsi con l’alcol.
Su tutto c’è l’impossibilità di parlare.
Emozioni e corpi sono bloccati, non riescono a dire nulla, a cercare aiuto anche in chi avrebbe avuto modo di darlo. E quando Hannah, come ultimo tentativo ci riesce, con Mr. Porter psicologo della scuola (che sulla porta porta la scritta Counselor perchè è questo che fa un counselor, lo psicologo), purtroppo l’adulto non riesce ad arrivare alla ragazza, la riempie di domande, anche ambigue, mostrando poca attenzione e competenza emotiva nel riuscire a farla aprire quel poco che poteva bastare per toglierla dalla sua decisione, anche se probabilmente, visto il punto in cui era arrivata, non sarebbe potuto bastare (anche se sulla gestione di quel colloquio, come in genere intorno alla figura di Mr Porter, da psicologa, ho sentito dei forti brividi n.d.a.).
“Tredici” è una esperienza forte. Anche se sappiamo che Hannah è morta dal primo secondo della prima puntata, quando la vediamo suicidarsi, dopo tutto quello che ha vissuto giorno dopo giorno, non possiamo restare indifferenti. Il dolore dei genitori, la loro battaglia per capire, rende il tutto ancora più forte. Ma sono emozioni che possono farci intendere molto di come funziona il cervello di un adolescente. Per molti di loro, quelle provate vedendo la serie, sono state emozioni utili.
Su YouTube nelle Community dedicate sono in molti a parlare di come sia possibile riconoscersi in Hannah, nelle sue emozioni. Una ragazza scrive che “Clay and Hannah deserved the world”, ricordando quanto è importante aiutare le persone a farcela. Un’altra racconta il suo riconoscersi in quello che la ragazza, anche se lei, per fortuna, è riuscita a superare le sue fantasie suicidarie, molti trovano la forza di raccontare alcuni episodi di bullismo vissuti. Sono molti quelli che ringraziano la possibilità di aver riflettuto su tante cose, come la capacità di entrare in empatia con gli altri, pensare alle conseguenze delle proprie azioni, sentirsi meno soli, chiedere aiuto.
Chiedere aiuto è la cosa più difficile per moltissimi ragazzi e i suicidi in età adolescenziale non sono eventi solitari e rari. Molti adolescenti pensano al suicidio, anche perchè non riescono a pensare che quel dolore che provano possa affievolirsi con il tempo, la parola futuro è difficile da immaginare. Molti lo organizzano, lo scelgono ma ancora molti, trovano un modo per fermarsi, riuscendo a sentire la vita in altri modi (anche facendosi del male, tagliandosi o simili, come una delle protagoniste della serie). Molti decidono di morire e lo fanno. Jay Asher lo scrittore del libro da cui è stata tratta la serie, ha raccontato che, secondo lui, la parola suicidio deve essere nominata. Proprio per questo ha scritto il suo libro, sentendo la responsabilità di quello che raccontava, parlarne aiuta a prevenire. Mostrare la tragedia di Hannah, facendola vivere allo spettatore, permette anche di capire come questa non possa essere la soluzione al dolore. Come si desideri salvare Hannah e trovare come salvare se stessi.
Ma è bene ricordare anche che nessuno ha ucciso Hannah Baker , benchè alcuni l’abbiano spinta più di altri. E’ stato il suo disagio, il suo trauma, il suo star male. Alcuni ragazzi poi, nelle varie vicende, sono vittime loro stessi della pressione sociale, di quello che pensano di dover essere, delle loro emozioni che fanno fatica a capire, di leggerezze che non meritano il trauma di far parte di quelle cassette. Il senso di colpa ad effetto di frasi come “tutti l’abbiamo uccisa” è fuori luogo, come altri momenti creati per necessità dello show che sono comunque criticabili. Ma resta uno spettacolo che permette di riflettere e sentire sulla propria pelle la fatica di essere adolescente.
Essere adolescenti, come stare vicino ad un adolescente, non è per niente facile. Eppure è possibile, lo è sempre, trovare quella parola, la più difficile, la prima, che permette di creare un ponte, pur sottile, che leghi l’uno agli altri, trovando ragioni abbastanza buone per restare vivi il più a lungo possibile.
Pollicino: Ogni adolescente alle prese con la vita e le sue battaglie
L’Orco: Il blocco che impedisce alle parole di uscire per chiedere aiuto
L’arma segreta: Piccole cose, sorrisi, parole di cui fidarsi, gesti di amore e amicizia che diano l’idea che non è poi così male. La protezione di un adulto in grado di comprendere.