Top
La vergogna in canottiera, Body Shaming - Pollicino era un grande
fade
12985
post-template-default,single,single-post,postid-12985,single-format-standard,eltd-core-1.1,flow-ver-1.3.5,,eltd-smooth-page-transitions,ajax,eltd-grid-1300,eltd-blog-installed,page-template-blog-standard,eltd-header-vertical,eltd-sticky-header-on-scroll-up,eltd-default-mobile-header,eltd-sticky-up-mobile-header,eltd-dropdown-default,wpb-js-composer js-comp-ver-5.0,vc_responsive

La vergogna in canottiera, Body Shaming

Penso a tutte quelle donne sul Titanic che hanno detto, ‘No, grazie’ al carrello dei dolci. E per che cosa ?!
Erma Bombeck

 

Quando ero ragazzina, mi vergognavo di come ero. Tantissimo. Un anno andai al mare,neppure per poco, con dei lunghi boxer da mare blu, di quelli che avrebbe potuto portare un uomo adulto, taglia 52. Li avevamo uguali io e le mie amiche. Avevamo 15 anni e poca autostima, ma almeno eravamo cinque. Ci facevamo coraggio in un mondo che sentivamo pronto a sbranarci, nessuna di noi armata a sufficienza per rispondere al pericolo se non nascondendosi, ognuna a suo modo. Un modo era quel paio di boxer taglia 52.
 

Non solo sapevo allora, nella buia fine degli anni 80, di essere vittima di Body Shaming.

 
Oggi quando mi vedo in foto, una foto di allora dico, mi ripeto che se mi fossi vista per quello che ero, molte cose sarebbero state diverse.  Se avessi vista una ragazza e non un facocero informe, forse avrei pensato meglio gli aggettivi con cui mi descrivevo in quel periodo e mi sarei sentita più a mio agio con quello che ero. Inutile dire che molti decenni dopo, la questione è cambiata e mi muovo allegra nel mio, pur abbondante, bikini colorato.
 
nostri occhi sono collegati alla nostra mente più che al sistema visivo. I nostri pensieri modificano come vediamo il nostro corpo, la forma che gli diamo, il valore che diamo alle sue molteplici piccole forme diverse, diverse da quello che gli altri hanno deciso essere la “perfezione” a cui bisogna puntare.
 
La tendenza a fare star male per persone per il loro peso, la loro immagine, è ulteriormente peggiorata. I social hanno reso più aggressivo l’attacco che da sempre viene sferrato a i non adatti, almeno secondo l’immaginario della perfezione fisica di moda al momento.  Si urla alla persona quello che si pensa, attraverso il tono o i caratteri maiuscoli, si ferisce con il modo più greve o pungente possibile, questo cambia, poi,  a seconda di come si vuole passare (per quelli che dicono le cose come stanno o per opinionisti simpatici e arguti). La rete poi fa il suo dovere di eco potentissimo, capace di raggiungere tantissimi in pochissimo.
 
E’ la metodologia dell’insulto, del gridare che se non rasenti la perfezione sei deprecabile. I canoni di bellezza sono però sempre più difficili da raggiungere e la pubblicità ce li porge ogni giorno, attraverso ogni mezzo, ogni media, tv, tablet, carta stampata e non.
 

Nessuno può sentirsi al sicuro, ogni cm del tuo corpo è fertile terreno per le critiche altrui, più ti permetti di liberartene più sarà feroce la risposta.

 
Se poi pensiamo che se la prendono con personaggi del calibro di Rihanna, viene proprio da pensare che nessuno può dirsi irraggiungibile dall’insulto, dalla battuta crudele, dagli inviti alla dieta, al nascondersi, all’andare al diavolo, a volte viene consigliata anche la morte se non si rispettano certi canoni estetici e non solo.
 
Ma che colpa abbiamo noi? Nessuna. Ed è bene non prendercene quando ci vengono offerte. E sono molte le persone sempre pronte a far notare quel “difetto”, che rende chiunque criticabile. Che sia la compagna di 8 anni dei propri figli a scuola, alla star del cinema che tra un film e l’altro si riposa beata nei suoi centimetri di troppo, nella pace della sua cellulite. Il difetto scovato viene subito sbattuto con violenza sotto il naso di tutti. Subito arrivano i leoni da tastiera, che si nascondono dietro ad un video e, forti di questo, si sentono adatti a criticare chiunque. SI tratta di cecchini della critica o gruppi, di adolescenti ma anche di adulti che tra chat su WhatsApp e non solo, prendono di mira quello o quell’altro bambino, colpiscono famiglie perché “diverse” (da cosa poi?). Sono numerose e ovunque queste manifestazioni violente della nostra cultura e, se si finisce in un clima del genere, molto nel gruppo perdono di autonomia e capacità empatica e finiscono con il farsi trascinare a essere la peggiore versione di quello che sono. Quando il palcoscenico è la rete tutta, essere il peggiore può dare visibilità (seppure ben minore dei famosi 15 minuti) e ognuno vuole lasciare il suo segno, seppure di indelebile resta per lo più la ferita di chi riceve gli strali gratuiti degli altri.
 

 
Eppure siamo ormai consapevoli che l’immagine si distorce, che le figure, i corpi perfetti sono pochi e costano una grande fatica, spesso troppa.
 
Molto fanno invece gli strumenti tecnologici, per rendere una immagine, quella di un corpo normale, una perfetta immagine di come si deve essere, anche se poi non rispecchia neppure la realtà della modella stessa. Ma anche se sappiamo di quanto i nostri occhi e le nostre menti vengano ingannate, sono tanti gli articoli che ci mostrano errori e giochini mal riusciti di programmi come Photoshop . tutti ci dicono la stessa cosa “la verità è altrove” e ci facciamo vendere qualcosa che non esiste, non solo, ne facciamo un nostro valore.
 
Il body shaming sembrerebbe duro a morire. Il prendere di mira la forma del corpo delle persone e farle vergognare (shame in inglese significa infatti vergogna) per come appaiono, sembra non potersi placare. E con le critiche per i chili di troppo aumenta l’ansia e  viene colpita anche l’autostima della persona che si sente sbagliata, brutta, deforme, non conforme all’immagine (falsa)che viene mostrata come la regola. Da qui ai problemi psicologici di ordine quotidiano, anche cronico, la strada è terribilmente breve. Se non ci sono nella persona, abbastanza fattori protettivi per aiutarla a reggere i colpi che vengono inflitti, presto dalla vergogna si possono seguire strade patologiche, nella speranza di stare meglio, come fare proprie condotte alimentari disfunzionali, o iniziare ad abusare di sport e dieta sana, fino a farci ammalare di questa ricerca di salute portata allo stremo (ortoressia).
 
Il rischio è altissimo nei giovani, il suicidio può diventare una possibile alternativa, perché risolve per sempre il disagio che si prova.
 
In America la percentuale di adolescenti che si trovano a vivere situazioni dolorose legare al body shaming sono tantissime. In un articolo del

National Geographic “A Challenge for GirlsToday: Moving Beyond ‘How Do I Look?’ ( scritto da Tina Rosenberg) , vengono raccontate diverse storie, come quella di Alexandra che aveva fondato una linea per ragazzi con intenti suicidi (Dallas, Texas) e che ricorda come la sua vita fosse voler “essere qualcun altro” con pensieri suicidari e forte depressione nonostante si sapesse amata dai familiari. Ogni ragazza in America cresce di fronte ad uno specchio, ci dice Rosenberg e oltre alle normali domande dell’età, sono molteplici le pressioni a cui sono sottoposte, soprattutto legate alle idee convenzionali di bellezza. E se da una parte la cultura sta rendendosi più consapevole della bellezza di ognuno, nelle differenze, i social media trasformano tutto il mondo degli adolescenti, creando una pressione enorme per spinge molte ragazze a manifestare condotte anoressiche, problemi di natura psichiatrica, comportamenti inadeguati e patologici.
 
Ai ragazzi, essere “troppo” fa malissimo. E sentono tutto il peso del giudizio, fino a preferire la possibilità di nascondersi, anche dietro ad un se stesso che non corrisponde alla loro vera essenza. Perché quando amiamo la vita ma non ci sembra possibile vivere per come siamo, ci si nasconde per sopravvivere,  dietro ad un sintomo come dietro ad un muro.
 

 
Un segnale di questa idea distorta di bellezza, sono le sfide che si moltiplicano negli anni per dimostrare al mondo chi è veramente degno di dirsi bello o abbastanza magro, insomma, meritevole di accettazione e non critiche. Sono sfide folli come la collarbone challenge, che mette in mostra la magrezza della clavicola e conta la bellezza in monetine, come anche l’ A4 Waist Challenge, Belly Botton o  Tright Gap Challenge, insomma, sono moltissime e non tendono a diminuire. Sfide che servono per sentirsi meritevoli di accettazione, che si consumano a botte di click e lacrime, per chi non riesce a poter postare nulla perché non rispetta i canoni, folli, di bellezza.
 
Sono le donne a soffrine di più, specie se giovani. Ma la verità è che nessuna età o genere è al sicuro dalla vergogna di essere “diversi” da quanto ritenuto accettabile.
 

Molto spesso noi donne siamo grasse, ma voi uomini siete pesanti, e per questo mettersi a dieta non basta. Geppi CUCCIARI


 
La ricetta per superare il dolore di essere “vergognosi” è lavorare su se stessi per accettarsi come si è, rinunciando al dover essere i migliori o quelli che corrispondono ai dettami scelti e decisi da altri. Oltre a lavorare sull’autostima e sui rapporti che si creano, rapporti sani e non legati all’apparenza, sarà certamente importante anche arrivare a piacersi, migliorandosi  anche, ma secondo canoni personali di bellezza, senza sfide online a botte di click, ma solo per apprezzare l’immagine che mostriamo al mondo. In primis al nostro specchio interiore. Un lavoro a volte lungo e complesso, ma che può fare tanto. Poi, certamente, c’è un impegno che non è SOLO dell’individuo o della famiglia, ma di chiunque crei cultura, a fare in modo che sia possibile essere quello che si è, smantellando la cultura del like e del corpo perfetto che ha segnato la sua strada con sofferenza e disturbi.

 

 


Pollicino:  Ogni corpo che incontriamo

L’Orco: Giudicarsi attraverso degli ideali fasulli che “danno peso” a quello che non ne ha.

L’arma segreta: Guardarsi con gli occhi puliti dagli stereotipi e migliorarsi per se stessi.

Marzia Cikada

She - Her Psicologa, psicoterapeuta, sex counseling, terapia EMDR per il trauma. Incontra persone che vogliono stare meglio, a partire dall'adolescenza. Nel suo spazio ogni persona può sentirsi a casa. Ha creato il progetto Vitamina di Coppia, con la collega Sara De Maria. Riceve online e nei suoi studi di Torino e Torre Pellice.

Commenti

Scrivi un commento