
La mia mamma combatte l’omofobia. Fai come la mia mamma.
“Sono abbastanza sicuro […] che la guerra contro l’omofobia si vinca solo con il porta a porta, con il passaparola, con la raccolta differenziata (delle persone). Una conquista metro per metro, centimetro per centimetro, tutti i giorni tutte le ore tutti i minuti. In metropolitana due sconosciuti, magari senza cattiveria (questo “senza cattiveria” ha fatto migliaia di morti, soprattutto tra le ragazze e i ragazzi, e non è un modo di dire, un paradosso, un’iperbole, purtroppo), due sconosciuti dicono qualcosa di omofobo? Gentilmente li si interrompe e si chiede conto. Scusa, cosa hai detto? Perché? Fammi capire. E così sempre, pronti a rompere il cazzo ogni volta, al vicino di casa, al compagno di banco (scuola e chiesa), al vicino di buca al golf. E pronti a spiegare quelle quattro cose in croce. Con calma, con precisione, con decisione. Questo, alla lunga, sì, mi sembra potrebbe funzionare“.
Piergiorgio Paterlini
Nella mia famiglia di tante cose non si parlava.
Non sapevo bene come i miei la pensassero su certi temi, dalla politica alla sessualità non c’era un gran discutere. Io invece, ancor più da ragazza, credevo occorresse affrontare tutto, manifestarsi su tutto. Sentivo tutti i mali del mondo vorticarmi nell’anima e una furia impetuosa mi abitava, pronta a combattere per i diritti di tutt*, soffrendo ogni volta che ne veniva calpestato qualcuno. Non potevo accettare la realtà per quella che era. Gonfia di ideali come uno straccio zuppo d’acqua, covavo una rabbia bruciante contro chi, a mio avviso, non promuoveva una vita etica, senza dolore per nessuno, che fosse capace di accogliere le differenze senza ferire.
Ricordo di una volta che per telefono avevo detto a mia madre che magari mi piacevano le donne. Perchè avessi mentito? Non lo so. Ero piuttosto certa del mio orientamento e la mia era una provocazione immatura. Avevo voglia di mettere mia madre alla prova, aprirle gli occhi su un mondo che non era solo bianco e nero come immaginavo lo conoscesse lei. Forse, a pensarci oggi, una parte di me voleva una prova di amore indipendente da quello che ero, un amore meritato dal mio essere me. Mia madre, una mamma giovane che aveva all’epoca qualcosa in meno degli anni che ho adesso, fece silenzio qualche secondo. Poi disse solo un veloce -Va bene. Non so se mi avesse presa sul serio, ma sentivo avesse fatto spazio ad una possibilità.
La possibilità nella voce di una madre sarebbe il dono che vorrebbero tanti figli e tante figlie. Il timore dell’assenza di possibilità altra a quello per cui sono stat* cresciut*, mettere su una famiglia eterosessuale, allontana la pensabilità di manifestarsi per quello che si è. Si teme di non incontrare nella famiglia accoglienza, peggio, di trovarvi rifiuto.
Quella stessa madre, cambiata dal tempo e dalla vita, mi racconta,di come ci siano persone che proprio non capiscono niente. Me lo dice che siamo sempre al telefono, la mia vita è sempre più lontana dalla sua. Nella voce ha una verve che ha fatta sua negli anni, si sente l’irritazione e il fervore. Io ascolto dall’altra parte del filo, a svariate centinaia di chilometri di distanza.
-Sono troppe le persone che non capiscono, che usano parole terribili, che hanno bisogno di qualcuno che le faccia ragionare. Che lo sai che non mi sto zitta! Tante persone devono capire cosa sbagliano.
Insiste.
– Mi sto leggendo la Guida, non capisco proprio tutto ma molto sì. E’ bello scoprire cose nuove e capirne meglio altre. Dovrebbero leggerla in tanti, quasi quasi gliela regalo.
Oggi la mia mamma combatte l’omofobia.
Si è comprata la Guida Arcobaleno mia madre. E io sono orgogliosa della sua voglia di capire meglio, di più, della fatica che fa ogni tanto ad astenersi dal giudicare, di trovare le parole migliori per capire.
C’è bisogno di mamme che vogliono capire, meglio, di mamme che vogliono insegnare alle loro figlie e figli il mondo com’è nelle sue naturali sfumature e non come viene dipinto dalle amnesie culturali e pregiudizi ideologici di troppi personaggi pericolosi. Ancor più se sono mamme “tradizionali” che non hanno nulla da guadagnarci “se non” il piacere di costruire rispetto e civiltà intorno a loro, per figli e nipoti altrui, per i ragazzi che gli siedono accanto sul tram, per la donna che gli chiede l’ora per strada.
La Guida Arcobaleno è sempre più un progetto che un libro. E’ il bisogno di capire di molti che trova le parole per comprendere e insieme lo spazio per fare posto al cambiamento. Questa è una estate che per troppi episodi molte persone non avrebbero voluto vivere.
Razzismo, omo-bi-trans-fobia, violenza, che poi è sempre l’ignoranza la grande madre di tanti mali.
A Torino una settimana fa una nuova aggressione su un ragazzo di 19 anni, ci ricorda i motivi per cui Bernardo Paoli ebbe l’idea, poi accolta da chi scrive e dalla dottoressa Alice Ghisoni, di creare un testo come la Guida Arcobaleno, per fare quanto potevamo perchè meno ragazz* possibili potessero star male per il loro orientamento sessuale o la loro identità sessuale.
La nostra speranza di professionisti e curatori di un testo che racconta il mondo LGBT+ era fare cultura per evitare anche episodi come quello di questi giorni. Perchè dove l’ignoranza è lasciata libera di girare per le strade è facile che diventi violenza. Che sia vestita da omofobia, da odio per il migrante o per la libertà delle donne o da una di quelle innumerevoli paure con cui sembra agghindarsi sempre più l’animo italiano, l’ignoranza genera violenza.
L’ignoranza ci fa vedere una minaccia dove c’è ricchezza, paura dove c’è qualcosa di diverso da noi, fino a rendercelo insopportabile. Solo la conoscenza può aiutarci a far fiorire la capacità di fare comunità, di essere insieme, ognun* con la sua bellezza.
Perchè è dalla comunità che possono arrivare gli antidoti a certe terribili malattie, dal pregiudizio allo stereotipo. E’ la comunità che va supportata con una educazione alla sessualità e alla affettività che coinvolga i giovani e i loro genitori insieme con gli adulti che si occupano di sviluppo ed educazione.
L’idea di comunità esiste sempre meno. Si va restringendo sempre di più.
Purtroppo i confini nello spazio comune diventano sempre più sottili. Ieri ero io e la mia città, poi io e il mio quartiere, oggi io e la mia famiglia, e non sono neppure troppo certa che non sia stata troppo di manica larga. Il senso di insieme svanisce lentamente tra proclami e paure, oggi sono le unghie laccate, ieri erano i pantaloni rosa, il nemico resta sempre l’altro, altro perché diverso, altro perché lontano da me e se non ti capisco, non ti voglio sapere esistente. E se non ti capisco non ci sei.
Eppure amiamo sempre senza capire, almeno non del tutto.
Perchè davvero pensiamo di poter spiegare per intero il sentimento amoroso? Il legame con un/a figlio/a possiamo davvero pensare che ci porterà a capire tutto di quella creatura? No. Non è possibile, è mentire a noi stessi o accettare una menzogna. Siamo diversi dall’altro come fiocchi di neve, unici anche nelle somiglianze, non ci sarà altra me, non conoscerò mai altro te.
La ricchezza oggi è nell’aggrapparci all’umanità, quella che resta, e prendersene cura.
Il cambiamento inizia ogni giorno, nella battaglia quotidiana per seminare un pensiero diverso, per fare informazione, per mostrare l’umanità per come potrebbe essere se non avesse tutta questa paura.
In questa guerra alla paura quello che mi atterrisce è il silenzio dei giusti. Ed è per questo che si deve prendere una posizione.
Ogni persona deve agire contro i fantasmi della paura. Se li lasciamo divampare, trasformeranno ogni città in roccaforti vuote. Mi viene in mente il film The Village (2004) del regista M. Night Shyamalan, dove, per mantenere il potere sulla comunità e per paura del cambiamento, un gruppo di persone inventa storie e confini, mostri e leggende in modo da tenere irrimediabilmente regredito il suo villaggio, realizzando una protezione che è isolamento. Certamente alte recinzioni preservano la comunità da ogni genere di incontro con il progresso e il sapere, ma la lasciano in balia di ben altri demoni. Non meno pericolosi.
Sapere rende liberi. L’ignoranza rende pericolosi. E noi professionisti dobbiamo raccontare un mondo pieno di possibilità. Ma insieme a noi è fondamentale che ci siano persone, famiglie, genitori che vogliano sostenere un mondo fatto di diritti, visibilità, consapevolezza. Soprattutto genitori, madri e padri che raccontino altre favole, che usino tutti i colori del mondo perchè i loro bambini possano disegnarsi il futuro che vogliono.
Combattere l’omo-bi-trans-fobia è un impegno quotidiano che ci vede tutti coinvolti, come abitanti dello stesso pianeta, come rappresentati delle nostre comunità. Ogni gesto è portatore di cambiamento.
Per questo sono orgogliosa che mia mamma combatta l’omofobia ogni giorno, nel suo piccolo, parlando con le amiche, sull’autobus che prende per tornare a casa, mentre fa la fila al supermercato o aspetta il suo turno dal dottore. Non è poca cosa.
E grazie mamma per esserti prestata, seppur inconsapevolmente, a musa ispiratrice di questo post.
Pollicino: Tutt* noi quando non sappiamo.
L’Orco: La paura del diverso da me che viene distorta dalla nostra poca conoscenza.
L’arma segreta: Conoscere, creando un nuovo inclusivo senso di comunità.