Dispathches From Elsewhere – Serie Tv
Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi.
Giorgio Gaber
Disptaches From Elsewhere era la serie di cui avevamo bisogno?
Non lo so. Ma è stato un bel viaggio. Un viaggio da fare insieme. Anche se pensavamo fosse solo per noi. Da fare in solitaria. Cosa ci insegna questa serie? Lo scoprirai se starai al gioco.
Di certo, per ritrovare la strada bisogna prima perdersi. E quando ci si ritrova, si scopre che quella solitudine che ci condannato a star male per tanto tempo, in realtà non esisteva, se non nelle nostre convinzioni.
Se non lo avete iniziato ad immaginare, è una serie strana Dispathches From Elsewhere. La serie è legata al nome di Jason Segel. L’attore, conosciuto più che altro come Marshall di How I Met Your Mother, in questa serie ci ha messo tanto. Lasciando andare il suo aspetto più comico, forse abusato, per ragionare diversamente su se stesso. La ha creata, prodotta, interpretata, ci ha messo davvero molto di suo (e per scoprirlo dovete vederla).
Il cast unisce le storie di personaggi diversi tra loro. Peter (Jason Segel) e la sua vita vuota e sofferente, che fatica anche a scegliere tra dolce o salato, Janice (Sally Field) che sta combattendo con la malattia del marito molto amato e la voglia di vivere ancora, Fredwynn (Andrè Benjamin) tormentato dal suo voler sapere a tutti i costi chhe spesso lo ha portato alla solitudine e Simon (Eve Lindley) in lotta contro se stessa e la transfobia interiorizzata che non le permette di concedersi un amore, anche quando lo ha di fronte.
Insieme faranno una delle squadre del gioco, cercheranno di capire, più di altri, entreranno dentro le maglie della storia, cercheranno di salvare Clara e, forse, loro stessi.
Si parte da un documentario speciale The Institute.
Lo spunto è quanto meno interessante. Il documentario The Institute (2013), di Spencer McCall. Nel suo lavoro parlava dell’esperienza fatta, qualche anno prima, a San Francisco, da un numeroso gruppo di persone (circa 10 mila per capirci) che si trovò, casualmente, ingaggiato in enorme gioco di società ideato dall’artista Jeff Hull. Tutto partiva con dei volantini sparsi per la città, una idea di reclutamento random che aveva creato per i partecipanti una realtà innovativa, alternativa, che li aveva portati a credere ad mille strane storie.
Tu lo avresti preso quel volantino? E perchè?
La storia di Dispatches From Elsewhere parte da qui. Dal sentirsi quelle persone che strappano un volantino e si conoscono, creano una squadra e ognuno di loro ha una storia e ogni storia nasconde un segreto, un dolore, un lutto, un malessere. Ma insieme qualcosa si può fare, che sia credere in un gioco o in un possibile nuovo Noi.
Crea disorientamento questa serie, giocosamente ti porta a perderti dei pezzi, qualcosa non si capisce, i personaggi ti coinvolgono e poi, dopo lo spaesamento, cambia di nuovo tutto.
E poi, nell’ultima puntata – che belle le serie che alla prima stagione hanno una vera ultima puntata – ti raccontano dove volevano portarti. Te lo raccontano guardandoti negli occhi e tu senti che c’è qualcosa per te in fondo al vaso. Che sia la speranza o altro, sai che non sarai sol* nel capirlo.
Tra creature strane, magia, arte, voglia di volersi bene, paura che accada e qualche mistero (ma non poche sorprese) questa serie ti porta a conoscere e riconoscere alcuni aspetti del vivere che erano da sempre dentro di noi. Ma capita che ce li dimentichiamo.
Strano per una serie? Un po’. E se alla fine hai la fronte corrucciata e non capisci bene, fa nulla. Qualcosa ormai sarà tuo. Nel mio caso un sorriso, una punta di commozione e un senso di appartenenza che non fa mai mai male.
Ma se ti dicessi di più, che gioco sarebbe?
La serie puoi trovarla su Primevideo.