L’Abbecedario del Terapeuta – C come Colpa –
Non c’è male all’infuori della colpa.
Marco Tullio Cicerone
Sentirsi in colpa. Portare il peso della colpa. Cercare un capro espiatorio. Sentirsi colpevole. Darsi la colpa.
Ogni giorno nella stanza di terapia, direttamente o sotto mentite spoglie, il terapeuta incontra storie di colpe, vere o presunte, ipotetiche o reali, concrete o sottilmente fatue. Ci si sente in colpa perché non si ha abbastanza tempo per i figli, perché si trascurano ambizioni, perché non ci si ritiene ottimi padri, figli, madri, mogli o compagni ma anche per aver mangiato troppo e aver tradita la linea, aver studiato poco, aver dedicato poco tempo ai genitori anziani, per un incidente a cui non eravamo presenti, un dolore che siamo certi sia colpa nostra.
Sentirsi in colpa è una esperienza chiara a tutti. Inoltre, in questa parte di mondo, storicamente, la stessa cultura e la religione maggiormente professata prendono il via da una colpa. Pensiamo anche solo alla mela di Adamo ed Eva, che diventa peccato originale di cui si è colpevoli prima ancora della nascita.
TIPI DI COLPE DIVERSE
Quello della colpa è un sentimento, una esperienza emotiva profondamente umana e, in alcuni casi, fortemente limitante. Abbiamo due sensi di colpa, quelli come reazione a qualcosa di reale e quelli che crescono con noi, definendo mosse e atteggiamenti nelle relazioni sociali, spesso derivati dalla nostra storie personale. Da una parte, quindi, abbiamo il senso di colpa che ha il compito di renderci consapevoli di quanto abbiamo fatto. In questo caso, la colpa si nutre dei torti inflitti agli altri e ci aiuta a capire il potere che abbiamo di fare del male, arrecando all’altro sofferenza con comportamenti o parole.
Diventare consapevoli della propria “colpevolezza”, rende responsabili delle proprie azioni e permette quindi di tentare, ove possibile, una riparazione di quanto fatto. Antropologicamente, la colpa assume il ruolo di limite, ordinando la cultura in regole che non è possibile trasgredire, salvo il sentirne poi il peso. Si presenta in questi casi come una emozione adattiva contro il proprio agire disonesto, crudele o anche solo inconsapevole. Accettare la colpa ci rende responsabili delle nostre azioni e solo essendo padroni di quanto abbiamo compiuto possiamo permetterci di andare oltre, accettandone le conseguenze.
“Una colpa non è cancellata finché si rammenta”. Scriveva lo scrittore italiano Carlo Dossi. Ma cosa succede se la colpa, invece, non esiste? Se non siamo di fronte ad una colpa che si nutre di realtà e fatti ma ad una più subdola e sottile, senza aver commesso niente per cui sia giustificata? Capita di sentirsi in colpa davanti a piccole scelte di ogni giorno, di vivere come colpevoli per il desiderio di soddisfare se stessi senza un reale danno a nessuno.
E’ una condizione di molti, un sentimento che indebolisce perché rinforza un senso profondo di inadeguatezza, di paura, che non è possibile eludere.
Allora ognuno sviluppa dei comportamenti in risposta a questo sentimento. C’è chi diventa incerto, chi aggressivo, chi si nasconde, chi evita la vita stessa.
Il CINEMA, ci ha offerte diverse occasioni per parlare di colpa.
Tra tutti, mi viene in mente, sul tema della consapevolezza della colpa, il film “L’Uomo senza SONNO” del regista Brad Anderson con l’attore, rimasto nella memoria per la magrezza raggiunta per il ruolo, Christian Bale (2004).
La storia del film gira proprio intorno al tema della colpa, del bisogno di rispondere delle proprie azioni per potersele poi perdonare.
La trama è quella di un uomo che non dorme da più di un anno. La sua lucidità è sempre più compromessa e una serie di indizi lo portano a guardare il mondo in maniera diversa. Scopriremo lentamente il perché di questa impossibilità a dormire. Lo faremo partecipando alla tensione, spesso snervante, del suo nascondersi, delle sue immagini, del suo incubo. La colpa, protagonista della storia, sarà alla fine svelata e il sonno potrà ritrovare il suo posto.
GENITORI E INFANZIE COLPEVOLI
Sulla colpa dovrebbero lavorare anche alcuni genitori. Alimentando la consapevolezza è invece quella su cui dovrebbero lavorare alcuni genitori che, pur senza accorgersene, a volte, impongono atteggiamenti duri e freddi ai loro bambini, richiedendo obbedienza a regole non necessarie, definendo obiettivi non adatti, disegnando un mondo dove il bambino si sentirà sempre inadeguato, non all’altezza. Lavorare con le madri e i padri su questo tipo di consapevolezza del comportamento “colpevole”, permette di trovare un nuovo modo di educare i figli, di interagire e passare il tempo con loro senza per questo attuare atteggiamenti di giudizio rigidi e duri che potrebbero, in maniera sfumata e sottile ma fortissima, delineare un carattere insicuro, incerto nella crescita. Diventare consapevoli del potere che si esercita sui propri figli è un modo per evitare di sentirsi e far sentire in colpa, migliorando anche il livello di soddisfazione verso quello che si fa.
La sensazione di sentirsi in colpa si incontra molto presto infatti, si impara in quella fase fantastica e terribile che è l’infanzia.
Genitori repressivi ed eccessivamente colpevolizzanti contribuiranno allo sviluppo di una naturale tendenza alla colpa.
Soprattutto, è la freddezza con cui i bambini vengono cresciuti ad essere in parte predittiva di un adulto che, senza l’affetto e l’accoglienza necessarie, sarà facilmente pronto a dare a se la colpa anche di quanto non capisce, un adulto che avrà come unico modo di tradurre il mondo il suo definirsi “sbagliato”.
Sigmund Freud riteneva che la colpa affondasse le sue radici nel mondo interiore e nella propria storia personale per cui le esperienze vissute da piccoli si trasformano nel sentimento di inadeguatezza. Lucia Attolico scrive nel suo “Non farmi camminare con i tacchi alti” (2003) che ” i sensi di colpa provocano forti angosce, e sui bambini producono un effetto paralizzante.”. Chi vive sentendosi in colpa si chiude in un angolo, si limitano le proprie possibilità di azione e soddisfazione.
LA COLPA IMPRIGIONA, DESIDERA IL CONSENSO ma GENERA RABBIA
Pensiamo a quando non si riesce a dire NO alle richieste degli altri, solo per compiacere. Solitamente, ci si nasconde dietro a questa difficoltà la paura di essere “fatti male”. Allo stesso tempo, sentirsi in colpa può far diventare aggressivi, gelosi, porta continuamente a richiedere conferme. Anche chi è sempre indeciso vive la colpa di non sentirsi adeguato e sente, fortemente, di non poter fare la scelta sbagliata senza incorrere in punizioni meritate, come la perdita delle persone care. E’ quindi l’impossibilità della scelta, nel timore dell’errore, a immobilizzare le sue azioni.
Il bisogno di consenso sviluppa uno stato di grande disagio, qualora non ci si dovesse ritenere all’altezza delle richieste del mondo esterno. Nasce la paura, sale l’ansia, arriva il panico. Anche fisicamente la colpa si fa sentire, con sintomi concreti come problemi a respirare, il battito cardiaco accelerato, senso di vertigini, una eccessiva sudorazione.
In quei casi, non importa se esiste una reale colpa, è abbastanza il disagio, il dolore che si prova.
Quindi il vero pericolo è il timore di non essere adeguato all’idea che abbiamo di persona “giusta”, accettabile.
Sentendoci costantemente in difetto, ogni azione diventa una sofferenza e andare avanti con la propria una operazione quasi impossibile.
E’ possibile superare tutto questo?Fortunatamente lo è. Chiaramente il primo passo è quello di essere consapevoli che dietro molti comportamenti si nasconde l’emozione della colpa. La colpa si dissolve quando capiamo la fonte delle nostre incertezze. Risalire alla nostra mela dell’Eden, alla prima colpa vissuta come tale o anche solo diventare consapevoli del proprio modo di porsi rispetto a sé stessi, è l’inizio di un nuovo cammino.
Carl Gustav Jung scriveva, dopo una lunga malattia, quanto una accettazione delle cose come sono, di come l’individuo le capisce e le rende proprie, rende possibile una esistenza migliore. E con questa l’“accettazione della mia stessa natura come mi accade di essere. In questo modo forgiamo l’Io che non si spezza quando accadono cose incomprensibili. Un Io che resiste e accetta la vita”
Per superare i limiti della colpa e regalarsi una più serena esistenza la prima cosa è quindi capire che ci si sente in colpa e poi assolversi, perdonarsi le proprie mancanze e il proprio essere imperfetto.
Questa accettazione della propria vulnerabilità, rende possibile avvicinarsi a comprendere che non è possibile avere il controllo su tutto, che qualcosa sfuggirà sempre e, di seguito, accettare di non avere il controllo su tutto significa allontanarsi da una visione onnipotente della vita, in cui tutto è nostro merito o colpa. Se riusciamo ad entrare nel mondo, uscendo dall’insidia (ma anche dalla lusinga) di essere onnipotenti, ecco che si comincia a prospettare una possibilità nuova di vita, dove si può essere semplicemente noi stessi. Lucio Della Seta, analista junghiano, autore del bel libro “Come debellare il senso di colpa” suggerisce di imparare ad infrangere piccole regole come inizio di una liberazione, anche fosse solo andare in bagno al bar senza poi sentirsi in dovere di prendere un caffè. Piccole azioni, altrimenti definite indelicate o maleducate, che possano risollevare un anima ferita, per insegnarle un volo senza colpe verso la possibile felicità.
marisamoles
Reblogged this on Marisa Moles's Weblog and commented:
Ho scelto di rebloggare questo bel post di Marzia Cikada perché penso piacerà a molti – a me piace tantissimo -, soprattutto all’amica Diemme che ogni tanto parla del senso di colpa sul suo blog. Quanto a me, la lettura mi ha fatto ritornare in mente quello che disse, molti anni fa, una psicologa ad un corso che si teneva nel mio liceo: “Ognuno di noi si porta appresso un intero tribunale in cui siamo tutto: giudice, giuria, difesa, pubblica accusa e imputato”. Ovviamente con l’intenzione di convincerci che nessuno è perfetto, che sbagliare è umano e che lasciarsi sopraffare dai sensi di colpa è del tutto inutile, visto che cerchiamo in ogni caso di difenderci dalla accuse anche se non siamo quasi mai in grado di arrivare ad un’assoluzione con formula piena.