L'importanza di non essere bravi ( almeno non sempre)
Comunicare si fa tutti i giorni più complicato. Regole da imparare, immancabili ordini da seguire, il cosa è bene e il cosa è male che vengono quasi sempre decisi a priori e sulla carta da altri. La richiesta che ci arriva da ogni parte è di essere responsabili, maturi, consapevoli, competenti, capaci, in grado di reagire in maniera matura a tutto, di usare la voce pacata, di non alzare i toni, di mediare, cooperare, condividere, elaborare, metabolizzare, evincere, capire, comprendere. Siamo sommersi dai manuali che sono in grado di farci capire il modo giusto di fare tutto, dal pane, al parto. Esperti, ci snocciolano le loro verità. Insegnano come diventare persone meglio. Le istituzioni ci dicono come essere onesti, come essere giusti, come essere bravi cittadini. Si deve parlare con i verbi giusti, sedere composti, mettersi in ordine il vestito, pulire casa, usare i verbi giusti, ascoltare, avere empatia. Ci si chiede la perfezione. Come se non si fosse già capito quanto questa fosse lo specchietto per le allodole che porta ad un campo arido, il canto delle sirene che allontana da casa, la strada di mollichine che porta nel bosco senza uscita.
Sii bravo!! ma cosa significa essere bravo?
Una mamma, ieri, accompagnava il suo bambino di sette anni, circa, lungo la strada, gli aveva comprato un gelato. Immagino avesse deciso lei quanto grosso dovesse essere e avesse scelto sempre lei fosse il momento giusto per comprarlo. Il bambino si guardava felice il suo primo gelato di primavera, nascosto dietro occhiali più grossi del suo visetto di bambino. Teneva sulle spalle il suo zaino e camminava lesto. Come lesto può camminare un bambino di sette anni innamorato del suo gelato. Ma la mamma aveva fretta e ha cominciato a urlargli di “Fare il bravo” di camminare in fretta, di non perdere tempo con il gelato, che era grande, si doveva muovere. Il bambino occhialuto non si lamentava, leccava in fretta il suo gelato e cercava di coordinare i passi. Cercava di fare il bravo.
Ho pensato molto a quel bambino. E al gusto sprecato per il suo gocciolante gelato. Al suo passo svelto dietro ad una mamma nervosa che voleva essere anche lei brava e arrivare in tempo in qualche luogo senza gelati da leccare.
Cercando spiegazioni,motivi, ragioni spesso non solo sprechiamo tempo, ma sprechiamo le energie che ci servirebbero per essere semplicemente quello che siamo. I sensi di colpa che spesso si nutrono della distanza tra noi e il modello di riferimento irraggiungibile, sono il primo ostacolo per capire una piccola semplice cosa, saremo comunque imperfetti.
Ci innamoriamo della leggerezza e della semplicità vista nelle vite degli altri, in un documentario alla tv su popolazioni lontane, eppure abbiamo sul comodino almeno tre manuali per avere stima in noi stessi, cercare di essere vincenti e tenerci il vero amore, posto che lo si sia incontrato.
Dall’altra parte il cinema che ha capito, perchè il cinema è un bambino che gioca, sta sfoderando film su film dal tema fiabesco, Biancaneve, Supereroi, Favole fantasy che possano portare lo spettatore laddove è permesso anche l’errore, perchè regna la regola del Lieto Fine.
Ma come si può essere bravi, spontaneamente efficienti e preparati ( notate il paradosso dell’ingiunzione alla spontaneità), quanto si dimentica che la felicità è un premio che si raggiunge dando spazio alla propria unicità e ascoltando le proprie aspirazioni e non quelle di un esperto, che dimenticando il piacere delle piccole cose, come il tempo rubato alla perfezione per godersi un gelato con il proprio figlio? Mi viene in mente una frase dell’inglese Edward Hall “Si può negare, se si vuole, quasi ogni astrazione: giustizia, bellezza, verità, divinità, Dio. Si può negare la serietà, ma non il gioco.” Stiamo dimenticando come si gioca alla vita, tanto che nascono corsi per ricordarci come si fa, e ben vengano, non sappiamo più prenderci in giro, anzi cerchiamo di essere il più seri possibili, ho trovato anche in rete un Test della Serietà . L’ironia che per Socrate era porre delle domande fingendosi ignorante, tanto che l’interlocutore fosse costretto a trovare come giustificare il suo pensiero e così facendo lo portava ad averne uno suo, pare roba antiquata, alla maieutica ora si è sostituita l’imposizione mediatica, il piacere/dovere di essere uguale, accettando formule riconosciute come valide e funzionali.
Non ci sono formule che funzionano, ma solo persone che cercano come stare al mondo nel migliore dei modi possibili. Accompagnarle in questa ricerca, non significa spingerli a perdere la loro essenza. Ogni imperfezione è un vezzo a cui spero nessuno di noi voglia mai rinunciare, è il neo che ci rende unici.
Impariamo a sbagliare, invece di impegnarci a non fare errori.
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