Dialogando con Psiche 4° – "Psiconcologia, vivere o sopravvivere?"
Cesarina Vighy
Nell’ultimo incontro di “Dialogando con Psiche” insieme al collega Andrea Dulicchio, si è parlato di Psiconcologia, di malattia, di cancro, di morte ma non solo. Si è parlato anche di vita che si intromette e non si arrende, del recupero della serenità quando sembra impossibile, di paura di veder morire chi amiamo, della paura che le stesse parole mettono, tanto da spingerci a non usarle, non volendo dare un nome alle cose, spesso aspettando sia troppo tardi. “Perché le parole sono come azioni e fanno accadere le cose. Una volta che sono uscite dalla bocca non puoi più farle rientrare.” scrive Hanif Kureishi nel suo breve romanzo “Nell’intimità”. Certo lui parlava di amore, ma la malattia e l’amore, il dolore e le relazioni sono parole che spesso si incontrano, si scontrano, si è costretti a farle sedere accanto per quanto sia scomoda la sedia. La psicologia, negli ultimi anni, ha fatto molto per affiancarsi al lavoro dei medici in casi delicati di malattia come sono quelli oncologici. Specialmente nelle diagnosi di cancro, infatti, si è potuto notare come lavorare insieme alla famiglia e sulle relazioni, con le relative difficoltà che una tale diagnosi muove, possa migliorare la qualità della vita non solo del malato ma di tutta la famiglia. Non si fa mai abbastanza attenzione a come spesso, chi diventa più fortemente patologico e soffre disagi psichici, non sia il malato ma un suo familiare, compagno, amico, parente.
Tutti abbiamo perso qualcuno per un cancro, parenti, conoscenti, amici. Nel 2011 il Premio Pulitzer è andato ad un medico oncologo, Siddhartha Mukherjeeper, per il suo ricco lavoro, “L’imperatore del Male”. Un testo che ripercorre la storia , quasi una vera e propria “biografia” del cancro, passando dai primi documenti alle moderne terapie. Tre famiglie su quattro ( dati del 2002) hanno vissuta questa esperienza. Possiamo quindi davvero mai dire che il malato oncologico è una realtà piccola e che si può mettere da parte? E possiamo davvero pensare che questa malattia si possa gestire da soli? Con il solo sostegno del medico?
Dal primo momento di paura, nell’attesa della diagnosi, nella comunicazione della malattia, durante le cure, nella fase terminale, davvero uno solo di questi passaggi non necessita di attenzione, conoscenza, competenza perché il malato e la sua famiglia possano vivere al meglio quanto resta, nonostante il dolore, la malattia, i cambiamenti terribili che devono affrontare? La tensione emotiva, il carico oggettivo che una malattia porta con sè, la preoccupazione del malato per gli altri e degli altri per il malato, sono tutti aspetti importanti, che non possono trovare accoglienza senza una adeguata preparazione. Una diagnosi di cancro, sconvolge e cambia l’idea stessa della vita cambiando il senso del tempo, riscrivendo tutte le priorità. Da una linea che si pensava infinita, che dalla nascita di protraeva lenta e lunghissima verso il futuro, la malattia è come se cancellasse la parola futuro, lasciando al suo posto un senso opprimente e doloroso di presente fatto di medici, medicine, sofferenza, perdita. Ma non è solo così. Se, certamente, la morte è la fine di tutti noi, la malattia ce la mette davanti senza preavviso, in un modo che percepiamo aggressivo, specie in una cultura, quella occidentale, che spesso non contempla la morte come passaggio necessario, relegandola tra le parole che non si dicono.
Le reazioni possono essere diverse a seconda del tipo di adattamento ( coping) e della storia personale e della propria famiglia, in alcune la malattia è normale, in alcune inconcepibile. Ogni famiglia ha il suo modo di reagire e va compreso perché si possa aiutarli a migliorarlo. Quando arriva il cancro tutto cambia. Le relazioni genitore- figlio, la coppia, il modo di parlare tra i membri della famiglia e di comunicare fuori dalle pareti della propria casa. Lo diciamo? Come lo diciamo? E se fosse meglio fare finta di niente? Anni di studi e ricerche hanno privilegiata la strada di una comunicazione chiara, che non ignori e rispetti le individualità. Specie quando ad ammalarsi è un bambino, allora il come parlare con lui e spiegare sarà fondamentale per il bambino ma per i genitori e gli stessi fratelli. Perché spesso il bambino finge di non sapere quanto intuisce (chiaramente sarà diverso a seconda dell’età) e finisce con l’accettare quando gli viene detto senza poter dire quanto prova, a volte per timore di dispiacere chi ama, per un senso della colpa che pesa anche in chi si ammala, a tutte le età, perché si finirà con il lasciare soli qualcuno di importante. Il senso del tempo, l’organizzazione della famiglia e dei ruoli e compiti varia molto quando qualcuno si ammala. La malattia è un trauma e deve essere trattata come tale, avendo chiaro che molto spesso è necessario un sostegno anche quando la prognosi sarà buona o quando operazioni e cure abbiano date il loro risultato. Perché in ogni caso la famiglia rimane il principale elemento di benessere emotivo per il pazienti e per i congiunti.
La Psiconcologia si prefigge l’obiettivo di trovare un buon adattamento al nuovo stato di cose, creando collaborazione nelle relazioni, facendo in modo che i conflitti sotterranei saranno affrontati e risolti prima che diventino fonte di sofferenza, stimolando il sostegno reciproco in un clima di ascolto e flessibilità dove sia possibile migliorare l’empowerment del malato e quello di tutta la famiglia di cui fa parte.
A Torino, esiste al momento una realtà ospedaliera che da spazio alla psiconcologia. Si tratta di un reparto dell’ Ospedale Universitario Molinette, Il reparto si occupa dei disturbi emozionali nei pazienti oncologici, includendo colloqui singoli o famigliari, gruppi di terapia, Gruppi di Training Autogeno, EMDR, Ipnosi, Musicoterapia, Terapia infusionale. Il sito spiega che :
La psiconcologia è un approccio multidisciplinare orientato a realizzare una presa in carico globale del paziente affetto da una neoplasia attraverso un percorso che va dalla valutazione psicologica prima della comunicazione della diagnosi, al supporto nella fase di trattamento, alla fase riabilitativa, sino, ove purtroppo necessario, alla corretta gestione psicofisica del malato terminale.
Vista l’aria terribile di tagli che pende sulla testa di questo reparto, c’è solo da sperare per tutti quelli che hanno potuto usufruirne negli anni, che non venga ulteriormente ridotta il suo spazio e le sue professionalità. Perché come ha detto un nostro ospite a questo incontro, che ringraziamo per la gioia di vivere che aveva nonostante tanti anni tra tumori e malattie conseguenti le cure, “riorganizzare non deve significare tagliare” e la serenità che strutture come questa possono dare a molti è un bene che non deve essere tagliato via!
Pollicino: Il malato oncologico e la sua famigliaL’Orco : La solitudine, il morire prima che sopraggiunga la morte
L’arma segreta : Collaborare, condividere con i propri cari, cercare la propria serenità.