
Joy (2016)
Il fine della psicoterapia è educare alla capacità immaginativa e insegnare l’arte di vivere fra le immagini: “guarire” sarà ritrovare il senso perduto del vivere e del morire entro un cosmo immaginale, attuare “storie che curano”, dove una vita possa finalmente aver dimora.
James Hillman
Joy è un film di David O. Russell, che lo ha prima scritto e poi diretto e ha degli ottimi attori, a partire dalla protagonista Jennifer Lawrence, ma anche Robert De Niro, Bradley Cooper, Isabella Rossellini e non solo. E’ la storia, romanzata almeno per la metà, della vera e reale Joy Mangano grande donna e imprenditrice americana che ha creato la Miracle Mop, un Mocio Miracoloso, innovativa invenzione per le casalinghe d’America e del mondo. Ma la storia della Mangano, di origini italiane, è stata trasformata per raccontare la Joy del regista, creando una storia che in molte parti è diversa da quella reale. Ma si chiama Cinema, non possiamo discutere troppo con lui!
La trama in sintesi estrema: Una bambina serena e creativa, viene travolta dalla separazione dei suoi, che diventano dipendenti da lei per molti aspetti. Questo cambiamento nella sua vita, le fa scegliere di prendersi cura di loro, una mamma che vive di soap opera e un padre immaturo tanto da finire con l’ospitarli tutti in casa sua, insieme all’uomo a cui vuol bene ma da cui è separata da anni, padre dei suoi due figli, che non è mai andato via di casa. Solo la nonna e una sua amica di infanzia credono ancora che la loro Joy possa fare qualcosa di grande, mente la sorellastra si nutre di invidia verso di lei, cercando quindi di dimostrare, ogni secondo, il suo essere la più in gamba e più amata da papà. Un giorno Joy riesce a mettere dei paletti nella sua vita, si riprende la sua energia creativa e sfida la vita per come le è stata costruita intorno. Il tutto mentre il mondo scopriva le televendite.
Perchè una psicologa dovrebbe interessarsi a questo film?
Sono molti i temi che in questo film fanno pensare a mio lavoro. Ne segnalo alcuni. I più interessanti.
Per come racconta il peso della famiglia nella vita di una persona. Nella famiglia di Joy i ruoli sembrerebbero difficili da cambiare o riscattare. La famiglia e le generazioni, qui ce ne sono almeno quattro, disegnano un incastro di relazioni che sembrerebbero definire la vita di Joy in maniera chiara. I due genitori, ancora si odiano dopo la separazione ( lui dice a la ex “Sei una fuga di gas, non ti vediamo, non sentiamo il tuo odore ma ci stai uccidendo in silenzio“) ma entrambi sono legati alla figlia per sostenersi (almeno finché il padre non si fidanza con una ricca vedova). Lei ha rinunciato a sogni e progetti per prendersi cura di loro e il suo ruolo di colei che accudisce lo recita con i suoi bambini, giustamente, come con l’ex marito, a cui è legata da profondo e tenero affetto che non le permette di mandarlo via di casa, né di pensare oltre. Ogni storia familiare consegna un copione da interpretare ai suoi membri, capita che sia un copione limitante, che non tenga conto delle reali capacità e bisogni di chi se lo trova tra le mani, con i risultati prevedibili di infelicità e fatica. Ma in questa famiglia la nonna materna, elemento di pace in una situazione ingarbugliata e non per nulla voce narrante del film, cerca dal suo piccolo angolo a ricordare alla giovane Joy la sua natura, le sue aspirazioni e desideri. Anche le storie che sembrano scritte, non senza la resistenza di chi non vuole cambiare modo di vedere le cose ( come il padre incapace di mostrarsi paterno o la sorellastra, anche lei appiattita dal suo sentirsi meno di Joy che la rende carica di rancore e rabbia che le fanno fare mille passi falsi ) possono essere trasformate.
Per il peso risolutivo che offre ai legami amicali che spingono verso la fede in se stessi, che passano la battuta giusta per scoprirsi nel mondo, che ci sono quando i legami familiari vacillano. Joy ha saputo avere cura dell’amica di sempre e del legame affettivo con il suo ex marito, che diventa suo tenero consigliere oltre che genitore attento dei loro bambini.
Per la creatività che riscatta il desiderio di nascondersi.
Se ci si nasconde, capisce ad un certo punto Joy, non ci si è nascosti solo agli altri, ma a se stessi. Da qui inizia, spinta anche a voler essere un buon esempio per la sua bambina, a dare ascolto al suo essere creativa, alle sue idee apparentemente folli, ma in realtà miracolose come il mocio che inventa. La forza di questa idea spinge Joy avanti, a creare il suo lavoro, togliendo potere agli altri ( senza dimenticarli) per riprenderlo come suo.
Per essere un film sulle donne, come quelle di queste quattro generazioni. Dalla nonna alla figlia di Joy e lei in mezzo, segno di equilibrio e possibilità. Quando Joy decide di entrare nel mondo degli affari passando per la TV, deciderà di farlo a modo suo, non accetterà più le regole degli altri ( fosse anche come si deve truccare e vestire in una televendita) ma definirà le sue e per questo funzioneranno.
Per il sogno e la voglia di credere ancora.
E ancora. E ancora. Mentre Joy comincia a destarsi dal suo lungo sonno (come la cicala di cui legge un libro alla sua bambina che resta in letargo fino a quindici anni) ci si trova a fare il tifo per lei. Chi vede il film, travolto da quella confusione bonaria ma appiccicosa, capisce che non è possibile realizzarsi in quel mondo di trucchi esagerati, Soap Opera, adulti immaturi e senza responsabilità e mentre Joy si risveglia, si spera lo faccia più in fretta possibile, che diventi sempre più azione e desiderio e sorrisi capaci e non dimessi. Così, quando anche il film incede in scelte stilistiche anche imperfette, poco importa, perché Joy si è svegliata, tutto è possibile, si può essere felici anche ( e a volte nonostante) la propria famiglia. Lunga vita al cinema!
Pollicino: Le storie di chi rimane in letargo nella propria famiglia
L’Orco: I ruoli rigidi che non ascoltano i bisogni personali
L’arma segreta: Un sogno in cui credere, qualcuno che spinge a non dimenticare, l’energia della fede in sé stessi.