
-Dottoressa mi aggiusti mia moglie – Richieste impossibili nella Terapia di Coppia
Se i coniugi non vivessero insieme, i buoni matrimoni sarebbero più frequenti.
Friedrich Nietzsche
Mi piacciono le coppie.
Quelle felici che resistono ma anche quelle che vorrebbero esserlo ma fanno fatica. Quelle che ci provano, cercando nuove strade possibili, fino a trovare quella giusta, quella che riporta il sorriso al suo posto. Mi piacciono anche le coppie che riescono, infine, ad arrendersi, a lasciare andare una storia che si è persa, una relazione che non ha più le energie per rilanciare quel progetto comune a cui pure si è creduto ma che con il tempo non si è saputo rinnovare. Quando riescono a non farsi troppo male mentre preparano le valigie per un futuro senza. E’ così. Sono belle le coppie che si salutano tra le lacrime, perché l’esperienza matura di quella loro storia che non ha funzionato ma sarà comunque parte della loro storia futura.
Lavoro con le coppie da molto. E mi rendo conto di quante insidie vi siano nel lavoro terapeutico di coppia.
Perché le coppie arrivano con una domanda, se va bene, ma più facilmente, arrivano con una serie di domande diverse tra loro e spesso contrastanti.
Da qui la necessità di fare ordine, prima di iniziare a lavorare insieme. Perchè da quei primi passi, nasce l’occasione di narrare insieme una sola unica storia e non due storie separate, anzi, mi verrebbe da dire, quello che interessa al terapeuta è, ancor più nello specifico, la TERZA STORIA, quella della coppia che racchiude e da senso alle altre due. La fatica è spesso definire la rigidità con cui il sistema coppia si presenta e trasformare, se possibile, in un nuovo equilibrio quello che arriva come a pezzi e scollegato.
Quando si arriva in terapia o anche solo quando si chiama per prendere un primo appuntamento è bene capirsi e farsi capire da entrambe le parti.
Certamente, sarà lo psicoterapeuta a dirigere la conversazione ma non è male se la coppia prima di presentarsi decide di dedicare del tempo a capire cosa vorrebbe davvero. Molto spesso le coppie, che non riescono ad arrivare con una DOMANDA unica e organica, vedono nella terapia altro e non uno spazio di possibile rilancio del loro contratto di coppia essenziale, minando da subito la riuscita del percorso. Riuscita che, ricordo, potrebbe essere anche un modo di salutarsi rispettoso e senza rabbia irrisolta.
Qualche esempio di sguardi distorti sulla terapia di coppia?
A seguire:
LA TERAPIA di Coppia “EFFETTO GIUDICE”
Si tratte di coppie che non cercano un nuovo linguaggio comune, non vogliono realmente capire come star bene insieme, cercano una vittoria, un giudice che gli dia ragione. Sono spesso entrambi ben contenti di entrare in terapia e litigano per “tirare” dalla loro parte il terapeuta, farlo salire sul ring per vincere insieme. Un triangolo piuttosto impoverente che non rende nessuna giustizia alla relazione e che può risultare un gioco lungo ed estenuante. “Chi ha ragione?” è la vera domanda. Ci sono coppie che naturalmente si ritrovano in questa modalità, persino in accordo sui ruoli da ricoprire, altre ne sono addolorate, ne patiscono la poca funzionalità.
Per questa fantasia della stanza di terapia come un’aula di tribunale, molti temono di avvicinarsi alla terapia di coppia. D’altronde è una emozione comprensibile. Chi vorrebbe, vivendolo anche nella quotidianità, ritrovarsi davanti ad un giudice anche pagandolo? Chi vorrebbe sentirsi dire, di nuovo, che si è sbagliati? Purtroppo infatti, si è soliti giocare al giusto e lo sbagliato fin troppo nella coppia, benchè non sia insolito sia una abitudine che nasce da ancor più lontano, dalla storia familiare precedente. Quindi, si arriva in terapia con l’idea che si dovrà attaccare o ci si dovrà difendere, o che finalmente si potrà far accogliere “la propria versione” o che tanto, come sempre, alla fine sarà solo colpa propria.
In ogni caso una domanda del genere non può essere accolta senza entrare in un turbine vizioso affatto utile per la coppia sana ma spesso unico gioco a disposizione dei due, ben conosciuto perchè giocato da anni.
LA TERAPIA di Coppia “dal MECCANICO”
“Dottoressa mi aggiusti mia moglie/mio marito” molti arrivano in terapia così. L’altra/o se ne sta in un cantuccio o si lamenta o si ribella ma la domanda viene fatta e tutti due e in fondo sentono abbia un senso. Il terapeuta dovrebbe quindi fare il meccanico ma non della coppia, solo della parte malata. Ma come si può pensare che sia possibile aggiustare un’auto solo cambiando una piccola parte senza riequilibrare il tutto? Un singolo pezzo si porta dietro il tutto, a volte mostrandosi complice dello stesso danno riscontrato. E’ la macchina ad avere un problema, non il singolo ingranaggio. La domanda deve diventare altro, non puntando il dito solo su uno dei due (con la complicità anche dell’altro però!) ma sulla relazione. Se non sarà possibile le strade percorribili saranno altre ma non la terapia di coppia.
E’ anche vero che spesso nella coppia uno/a dei due ha accettato o si è rassegnato al ruolo di quello da riparare.
Anche perchè sono anni che gli viene ripetuto che è la parte che non funziona. Spesso i ruoli sono chiari già alla prima litigata che si mette i scena. Per esempio, un conto è lamentarsi, far notare un proprio bisogno magari rimasto non ascoltato, un conto è definire un giudizio sull’altro, mettergli un’etichetta di “rotto”. La facilità con cui si danno etichette in coppia è notevole.
Sentirsi inadeguati è una grande paura per molti ed è facile viverla se, chi abbiamo accanto, non perde occasione per criticare aspramente non tanto i comportamenti ma la stessa identità della persona. E’ molto facile che si dica “Sei sbagliat*” che ha un ché di assoluto e definitivo, piuttosto che segnalare, anche caldamente, il comportamento, l’aspetto, il momento che si è vissuto male e che si vorrebbe cambiare.
Riuscire ad evitare la cantilena dei “sei…” (orribile, sbagliato, odioso, inutile, cattivo etc) ci aiuta anche a definire bene il motivo che ci fa star male senza minacciare tutta la persona che abbiamo davanti e che, probabilmente, qualcosa che ci piace e ci lega a lei pure ce l’ha.
LA TERAPIA di Coppia “DACCI LA RICETTA!”
Si cerca spesso di delegare gli altri delle nostre responsabilità, se poi l’altro ha studiato almeno 11 anni per stare in quel posto, cosa più semplice di far fare a lui? Quindi, ci si avvicina alla terapia come da uno stregone, in attesa della ricetta magica che possa far sistemare tutto. Ma non bastano lacrime di pipistrello e peli di armadillo per risolvere un rapporto sofferente. Ci vuole fatica e bisogna farla in tre. I due che chiedono aiuto e la loro coppia in difficoltà. Se si è disposti a fare il proprio pezzo, sapendo che sarà complicato, spesso doloroso, che ci costringerà a far vedere anche ferite che ci rassicurava tenere nascoste, allora, le cose potrebbero persino mettersi bene. La ricetta non esiste, la ricetta è la coppia stessa, unica quindi di volta in volta.
La frustrazione che si prova a vedere andare male le cose, non si cura con le ricette pronte degli altri, per questo un manuale non potrà mai risolvere da solo un problema.
Dobbiamo mettere in campo il nostro modo di essere, anche le nostre difese, la nostra fiducia nel terapeuta e la nostra motivazione a cambiare, se vogliamo che davvero cambi qualcosa.
LA TERAPIA di Coppia “ORACOLARE”
Legata alla situazione di cui sopra è quella della coppia che arriva con una sola domanda: “Ce la faremo?” La speranza cieca nella possibilità della terapia di far riprendere il dialogo, l’amore, la passione, il sogno comune viene messa nella mani del professionista e si cerca, non senza dolore, di capire dal volto di questi se vi sia possibilità o no per il proprio stare insieme. Il problema è che molto spesso, la domanda non viene seguita da una intenzione a provare a cambiare le cose, ad accettare la fatica che un percorso comporta, alla disponibilità ad ascoltare e mettersi in mezzo. Le carte che può leggere il terapeuta in questi casi sono spesso poche e molto nebulose, di certo le capacità dell’oracolo sono limitate.
E’ interessante vedere come, a volte, si speri fortemente che la risposta del terapeuta sia SI eppure si cerchi, in tutti i modi, di dare l’impressione che non vi sia speranza alcuna per la coppia.
Le domande sono importanti, spesso ancor più delle risposte. Riuscire a fare unadomanda in terapia che avvolga tutta la coppia, permette di partire nel modo migliore, per questo, quale che sia il punto di partenza, quando si lavora con le coppie, il professionista psicoterapeuta di pone come aiuto con la coppia. Spesso la fatica è tutta nel trasformare una domanda mal fatta in una buona risposta. La coppia è un sistema complesso, difficile e affascinante, pieno di risorse come capace di molte ferite.
E’ inoltre interessante notare come le coppie discutano spesso sul loro bisogno di essere uno, senza comprendere che invece, la terapia sarà occasione di godersi l’essere tre, potendo occupare la propria coppia con piacere, senza dimenticare la propria voce. Per dirla con Carl A. Whitaker (“Danzando con la famiglia. Un approccio simbolico-esperenziale”):
Quanto più abbiamo il coraggio di appartenere, tanto maggiore sarà la nostra libertà di essere indipendenti. Più grande è la nostra capacità di differenziarci, più saremo liberi di appartenere.
Pollicino: Coppie che si fanno domande
L’Orco: Credere che la terapia di coppia sia una magia dove non si ha potere di agire
L’arma segreta: Trovare la risposta giusta che permetta di scrivere la TERZA STORIA