Con chi parliamo oggi? Questa volta Pollicino ha intervistato un rompiscatole. Almeno così ama definirsi lui. Si tratta di
Iacopo Melio, classe ’92 , toscano, di vicino Firenze. Iacopo infarcisce le frasi di sorrisi e ironia ma le sue armi sono anche altre, come la tecnologia di cui è appassionato, la scrittura, un modo energico e propositivo di cercare soluzioni ai problemi di ogni giorno.
Ha studiato Scienze Politiche (Comunicazione, Media e Giornalismo) e crede nella comunicazione, e nella comunicazione digitale, come uno strumento sociale che ha un compito, quello di dare voce a chi non riesce a farsi sentire.
Odia la violenza e crede nella libertà e nel potere di cambiare le cose.
E’ diventato un
personaggio pubblico quando ha iniziato la sua battaglia per i diritti umani e civili delle persone con disabilità, sensibilizzando velocemente tantissime persone ad una visione nuova della “diversità” muovendosi con leggerezza e il sorriso verso obiettivi concreti ed estremamente seri. Tutto è partito da un articolo sul suo blog (“
Sono single per forza, non piglio l’autobus!”) dove denunciava a suo modo, quindi con ironia, la difficoltà di cercare l’amore della sua vita ostacolato dalle barriere di cui sono piene i mezzi di trasporto. La sua determinazione è diventata virale e oggi Iacopo è il presidente di una associazione attiva, la Onlus
“#vorreiprendereiltreno” nata il 31 GENNAIO 2015 che propone e ricerca soluzioni contro ogni barriera, in primis quelle architettoniche e culturali. Da settembre 2016 lavora come freelance per Fanpage.it. Ha pubblicato due testi, nel tempo, “Parigi XXI” nel 2016 e da poco “Faccio salti altissimi” per la casa editrice Mondadori. Ha anche vinto un premio, giugno del 2017, un premio istituito dal Parlamento Europeo
“Premio del cittadino europeo“.
Benvenuto Iacopo! Parto subito dal tuo libro “Faccio salti altissimi”. Secondo te, perché ce ne era bisogno? E da quale tuo bisogno è nato?
Non credo che “ci sia bisogno” di un libro in particolare: c’è sempre bisogno di libri, a prescindere. C’è stato chi ha detto che ogni libro ci fa vivere cento vite, o qualcosa di simile. Beh, mi auguro che la mia storia, raccontata intrecciando insieme tante altre storie di persone incrociate lungo il mio cammino, possa attivare un microscopico cambiamento nella testa delle persone o, più semplicemente, “smuovere” qualcosa, emozionando.
Non c’è un bisogno in particolare: si scrive prima di tutto per se stessi, per liberarsi e alleggerirsi, ma scrive anche per far sentire gli altri meno soli, in un certo senso.
Nel tuo libro scrivi che siamo tutti un po’ disabili, io per esempio non so fare i tuffi e ho problemi con le capriole da quando ero piccina. Ci racconti che significa per te?
Significa ricordare e ricordarci che non si è delle macchine infallibili, e che per questo dovremmo smetterla con sottolineare sempre ciò che non sappiamo fare, ponendo invece l’accento sulle nostre abilità e sulle nostre potenzialità. Ognuno di noi è una risorsa, in qualche modo.
La disabilità “non esiste”, o meglio: non è un’etichetta che ci viene affibbiata alla nascita, ma è la società che ci rende disabili nel momento in cui non ci fornisce i giusti strumenti per poter fare quello che fanno gli altri.
In questo senso, possiamo essere tutti disabili: Iacopo in carrozzina ma anche una mamma col passeggino, un anziano col bastone o un ragazzo grande e grosso che giocando a pallone si fa male e per un mese deve portare le stampelle.
C’è un mostro che corre pagina dopo pagina nel tuo libro, parlo dell’insensibilità. Faremmo bene ad averne paura sempre, anche se poi, fosse così facile capire quanto sia spaventosa, vorrebbe già dire che si siamo accorti di essere stati contagiati. Eppure è qualcosa di violento che sembra crescere a tutti i livelli. Tu come la combatti?
Semplicemente incanalando le mie energie nel costruire, anziché nel distruggere.
Cerco di far capire alle persone determinate cose, di avvicinarle a ciò che non conoscono: l’ignoto ci spaventa, sempre e comunque, per questo dobbiamo far toccare con mano la disabilità a chi ne prende le distanze, ignorandola. Quando ci alziamo la mattina abbiamo un enorme potere: quello di scegliere se essere un problema oppure un aiuto per qualcuno (penso a tutte le macchine parcheggiate sui marciapiedi o, peggio ancora, nei posti riservati ai disabili senza averne l’autorizzazione). Ecco perché l’insensibilità dovrebbe sparire quanto prima, per iniziare a camminare insieme, accanto, verso una società più aperta e inclusiva, su misura di tutti.
Io ti ci vedo molto come Pollicino, che nonostante la sua piccola dimensione, che potrebbe essere una disabilità, riesce ad essere un eroe potente e a cambiare la sua storia. Tu in cosa ti senti vicino al mio eroe?
Non so se il paragone con Pollicino sia azzeccato. Sicuramente, l’idea che tanti “sassolini” seminati possano, insieme, costruire una vera e propria strada, la trovo una metafora azzeccata alla mia idea di attivismo.
Credo che ognuno di noi, a suo modo, sia un piccolo ingranaggio nel motore del cambiamento: basterebbe poco, purché ognuno di noi lo metta in gioco, per poter fare grandi cose. Seminare, seminare… Per raccogliere, prima o poi, buoni frutti.
Contro quale Orco combatte la tua storia e qual è l’arma segreta che pensi possa funzionare per avere la meglio?
L’Orco più grande è fatto di pregiudizi e luoghi comuni da combattere ogni giorno, per dimostrare al mondo quanto valiamo.
L’arma segreta è, semplicemente, l’essere dei gran rompic*glioni… Possibilmente, col sorriso. 🙂